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Interessi in conflitto e stipendi d'oro

Fortunato di nome e di fatto

E' il capo di gabinetto del ministro Di Pietro. E anche membro laico del Csm del Tar

di Alessandro D'Amato - 05 dicembre 2006

Si scrive Di Pietro, si legge Fortunato. E’ il capo di gabinetto del ministro per le infrastrutture, e si dice che sia stato proprio sfruttando le sue indiscutibili competenze che l’ex giudice di Mani Pulite abbia riscritto l’articolo 12 della concessione per Autostrade, su cui il commissario europeo per il Mercato interno McCreevy ha proposto a Bruxelles l’avvio della procedura di infrazione. D’altronde, i temi come le concessioni, le autorizzazioni e i rapporti tra legislazione interna ed europea sono quelli a lui più congeniali. Quello di Autostrade, poi, è un fronte sempre aperto e scoppiettante, come dimostra la richiesta di Gian Maria Gros Pietro, presidente del gruppo, che ha invitato il governo stralciare il famoso articolo 12 dalla Finanziaria perché “rende non prevedibile il futuro del settore, ma soprattutto, ha l’effetto di bloccare la fusione con Abertis, di rendere indeterminato il valore di un soggetto che cerca di fondersi in un altro”. E la risposta che è arrivata a stretto giro di posta da parte del ministro stesso: “Piuttosto che insistere per cambiare la legge ripeto che la legge va rispettata, perché indietro non si torna”. Vincenzo Fortunato, però, ha moltissimi altri incarichi, con tutti i fardelli che ne derivano: è membro laico del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, l’organo di autogoverno della magistratura amministrativa. E per questo ruolo è stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare, presentata in ottobre da Maria Luisa Boccia e Giovanni Russo Spena di Rifondazione Comunista. Nella quale si punta il dito proprio sul suo doppio incarico: “Il contemporaneo svolgimento di tali funzioni determina un evidente conflitto di interessi, dal momento che lo stesso soggetto è chiamato a pronunciarsi sulle promozioni e sul conferimento di incarichi extragiudiziari e di arbitrati al Tar e al Consiglio di Stato, anche su edilizia ed urbanistica; e poi a intervenire mediante provvedimenti di natura politica, in ragione dell’incarico assunto nell’ambito del Ministero”, si legge. Dal ministro ancora nessuna risposta.

Un’interrogazione analoga venne presentata prima dell’estate da Pierluigi Mantini della Margherita, e poi ritirata dopo che Di Pietro aveva minacciato per l’ennesima volta le dimissioni. L’accusa non è nuova, comunque: Fortunato ricopriva anche la carica di capo di gabinetto all’Economia all’epoca di Tremonti, e c’è chi racconta che abbia fornito la sua consulenza anche nell’infausta battaglia contro le Fondazioni bancarie dell’ex ministro del governo Berlusconi. Una battaglia, si sa, costruita tutta in punta di diritto e su cui l’esecutiva alla fine ha dovuto soccombere. Con tanto di autocritica, visto che, Tremonti ammise, con le Fondazioni, di aver commesso “un errore bestiale”.

All’epoca Fortunato venne nominato anche rettore della Scuola Superiore dell’Economia e della Finanza (quella che un tempo era intitolata a Ezio Vanoni), mentre Marco Pinto – a capo degli uffici di gabinetto sempre di Tremonti – ne è stato proclamato direttore amministrativo. La storia è venuta fuori quando sono stati resi pubblici gli stipendi che i due prendevano (rispettivamente 132 mila e 75 mila euro lordi), e anche perché nel 2004 gli emolumenti erano stati aumentati del 180%. Da chi? Dal ministero dell’Economia stesso, da cui dipendeva l’approvazione. Sarebbe tutto in regola, se non fosse che il rettore e il capo di gabinetto del ministero stesso sono la stessa persona. Un caso perfetto di conflitto di interessi, che però nessuno si diede la pena di dirimere.

Fortunato, in ogni caso, continua dritto per la sua strada. Conducendo la battaglia per Autostrade persino contro Bruxelles. Sempre sperando che non finisca per essere definita anche questa “un errore bestiale” dal ministro per cui oggi lavora.

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