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Ma telebertinotti non vi ricorda qualcuno?

Formula magica nell’immobilismo tv

Se la Rai è il totem della comunicazione televisiva, è pure retta e governata da politici

di Davide Giacalone - 26 aprile 2006

Fausto Bertinotti mangia pane e politica da tempo immemorabile, quindi a me, con la sua uscita sul dimagrimento di Mediaset, non la dà a bere. Chi conosce la storia politica del mercato televisivo (ed un giorno si dovrà raccontarla, tutta tutta e bene bene) sa che c’è una formula magica della conservazione e dell’immobilismo, sa che basta pronunciare quella formula perché nulla cambi, chiunque sia al governo, e la formula recita: non si tocca e non si privatizza la Rai. Bertinotti l’ha scandita sillabando, a beneficio dei sordi, pertanto, chi vuole intendere intenda. La Rai è il totem della comunicazione televisiva, retta e governata dai politici, con una vocazione al servizio pubblico pari all’assenza di lottizzazione. Attorno al totem monopolista si costruì il duopolio. Il duopolio, a sua volta, dopo i fallimenti di Rusconi e Mondadori era l’unica alternativa al monopolio. Basterebbe non dico demolire, ma anche solo aggiornare e diversificare il totem perché il resto del mercato ne sarebbe influenzato, e migliorato. Invece no, come anche Bertinotti ripete, la dottrina della sinistra, accompagnata dalla dottrina della (fu) democrazia cristiana e dello stesso (fu) partito socialista, stabilisce che la Rai non si tocca, semmai s’ingrandisce. E, con questo, non cambia niente (salvo il defluire dell’audience, per libera scelta dei cittadini, verso l’unico digitale non privo di senso, vale a dire quello satellitare o via cavo). Ma, allora, perché Bertinotti ha parlato, facendo la faccia dell’arme? Lo ha fatto perché ha vinto le elezioni, ha vinto la partita politica che lo porterà ad essere la terza carica dello Stato, ma gli resta ancora da spiegare agli altri compagni in cosa consista il valore di “progresso verso l’avvenire”, sia della vittoria che della poltrona. Gli tocca mostrarsi estremista, senza esserlo proprio per niente. Così, approfittando di un programma elettorale dove, in materia televisiva, non c’è scritto un piffero, ma in modo assai esteso, s’è buttato sull’osso e lo porta orgogliosamente in bocca. Avrà tempo per posarlo, ma solo dopo l’incasso. Potrà, però, togliersi, in futuro, uno sfizio: quando qualcuno metterà mano alla legge sull’emittenza (mettiamo Gentiloni), proponendo qualche riforma che sblocchi la situazione senza provocare cataclismi, il presidente della Camera potrà dire di non volersi immischiare, ma di giudicare troppo moderate e prudenti quelle proposte. Così, come spesso in questo Paese, i riformisti saranno fregati dagli estremisti che primeggiano nell’arte della conservazione e dell’immobilismo. Già, perché Telebertinotti somiglia terribilmente alla Rai fanfaniana di Bernabei, né Castro e Mao sono mai state delle grandi scuole, in quanto a libertà e concorrenza nell’informazione.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato su Libero del 26 aprile 2006

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