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Bilancio del primo giorno di congresso Udc

Follini alla riscossa

Il leader delude chi si aspettava una relazione morbida. Duro attacco a Berlusconi

di Antonio Galdo - 02 luglio 2005

Un grande punto e a capo. Chi si aspettava da Marco Follini una relazione morbida, o comunque non conflittuale nei confronti degli alleati, è rimasto sicuramente sorpreso dalla durezza con la quale il segretario dell'Udc ha messo sul tavolo il problema della leadership del centrodestra. Depurata dai vapori di un'atmosfera congressuale, la scelta di Follini significa una sola cosa: la candidatura di Silvio Berlusconi alla guida della coalizione, per le politiche del 2006, non è scontata. Anzi. La richiesta perentoria di un «ricambio», anche generazionale, e di elezioni primarie per designare l'aspirante premier arriva come logica conseguenza di un ribaltamento del metodo con il quale finora i moderati italiani hanno preso le loro decisioni. «Fin qui è stato il leader a definire la nostra alleanza - ha detto Follini - oggi deve essere l'alleanza ad esprimere il leader». Parole così nette, pronunciate dopo che il Cavaliere aveva annunciato la sua riconferma con un pranzo tra i capi dei partiti, non possono essere considerate soltanto una tattica per non restare schiacciati dalla macchina mediatica di Berlusconi e dalla sua straordinaria capacità di conquistare sempre la prima fila sul palcoscenico politico. Il congresso chiarirà meglio quanto la posizione di Follini sia condivisa all'interno del suo partito; per il momento sono arrivate le critiche, a proposito di alleati, di Alleanza nazionale e della Lega e il rabbioso silenzio di Berlusconi, il cui governo secondo Follini si presenta «con un bilancio troppo magro».
Se nel breve termine la scossa del leader dell'Udc è circoscritta alla selezione del candidato da contrapporre al favorito Romano Prodi, nel medio-lungo termine si delinea l'ambizione a ricostruire il contenitore dei voti moderati. Non il partito unico, ma la casa comune attorno alla quale Follini ha piazzato i suoi paletti. Primo: ancoraggio in Europa al partito popolare europeo, sponda naturale di quei conservatori che non possono essere figli di nessuno nella geografia politica internazionale. Secondo: una legge proporzionale («senza non si va da nessuna parte») come premessa necessaria ma non sufficiente per rimodulare le alleanze politiche, e perché no, ricostruire un Grande Centro alternativo alla sinistra. Terzo: un programma la cui ispirazione abbia dei solidi riferimenti nei valori espressi dalla Chiesa cattolica e nelle alleanze sociali, a partire dalla Cisl che non a caso ha accolto con entusiasmo la relazione del segretario Udc. Disegnato il percorso, distinguendo con realismo ciò che si può fare subito (mettere in discussione la regola dell'uomo solo al comando) da quanto non può certo maturare in questo finale di legislatura (non ci sono né i tempi né le condizioni per una vera riforma elettorale) resta un interrogativo: che cosa tiene insieme, a questo punto, il centrodestra? Lo stato di necessità, e cioè gli effetti perversi di un bipolarismo che non funziona, non consolida vere alleanze in entrambi gli schieramenti e li espone a continui giochi di interdizione il cui sbocco è la precarietà di maggioranze pure molto forti sul piano numerico. Il vero, grande punto a capo parte da qui, e c'è solo da augurarsi che quelle del 2006 siano le ultime elezioni dell'infinita transizione italiana.

Pubblicato sul Mattino del 2 luglio 2005

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