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Public Policy

Andiamo oltre i tatticismi e la politica politicante

Fini ad un passo dall'ignoto

Il coraggio da solo non basta; occorre pure un disegno lucido

di Livio Ghersi - 21 aprile 2010

Quando Francesco Rutelli decise di uscire dal Partito democratico e di dare inizio ad Alleanza per l"Italia, pensai che avesse coraggio. Infatti, la sua scelta contraddiceva la logica abituale dei professionisti della politica: mai lasciare il certo per l"incerto. Oggi anche Gianfranco Fini si trova ad un passo dall"ignoto; e, con lui, i suoi più stretti amici. Ci sono venti o più deputati e dieci o più senatori effettivamente disposti ad uscire dai gruppi parlamentari del Popolo della libertà per costituire nuovi gruppi autonomi? Ne dubito. Avrebbero troppo da perdere e il coraggio è virtù rara tra i professionisti della politica.

Cosa intendo per "coraggio"? La volontà di modificare una realtà che si giudica insoddisfacente, individuando nel contempo una serie di possibili cambiamenti; quindi, la capacità di perseguire con determinazione e coerenza quei cambiamenti, sfidando rapporti di forza consolidati che hanno determinato la realtà presente, con le sue attuali caratteristiche. Sfidare i detentori del potere è cosa normale in un ordinamento democratico; diventa tanto più rischioso quanto meno il sistema politico sia realmente democratico.

Ragionando in astratto, ipotizziamo che, nell"ambito di quello che finora è stato lo schieramento di Centro-Destra, si costituisca una nuova formazione che rivendichi il diritto d"iniziativa politica, in autonomia dal PdL. La legge 21 dicembre 2005, n. 270, ossia la legge elettorale in vigore per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato, conferisce a quella che comunque resterebbe la forza politica maggioritaria nello schieramento di Centro-Destra, il Popolo della libertà, il potere di decidere, secondo proprie valutazioni di convenienza, con quali formazioni minori coalizzarsi, o non coalizzarsi, nelle successive elezioni del Parlamento. Anche una formazione relativamente molto piccola può ottenere rappresentanza se accettata nell"alleanza elettorale. Si può portare l"esempio del Movimento per l"Autonomia: nelle ultime elezioni politiche del 13 aprile 2008, l"MpA conseguì 410.487 voti (pari al"1,26 % del totale dei voti validi espressi), e si vide attribuiti otto seggi alla Camera.

Qualora, in un domani più o meno ravvicinato, una lista autonoma di ispirazione "finiana" volesse presentarsi alle elezioni, è sicuro che il Popolo della libertà negherebbe la possibilità di coalizione. Di conseguenza, la predetta lista potrebbe ottenere seggi alla Camera soltanto se conquistasse una cifra elettorale nazionale non inferiore, come minimo, al quattro per cento del totale dei voti validi espressi. Non è facile. Sempre nelle elezioni del 2008, ad esempio, non ebbe rappresentanza la Sinistra Arcobaleno, che pure ottenne 1.124.418 voti (3,084 %).

In altre parole, la legge elettorale vigente non realizza quella che, almeno secondo me, è la condizione indispensabile affinché una soglia di sbarramento sia costituzionalmente legittima e politicamente accettabile: che funzioni in modo uguale per tutte le liste, in modo da rispettare il principio costituzionale secondo cui tutti i voti sono uguali, ossia devono avere lo stesso peso (art. 48, secondo comma, della Costituzione). Invece, per come vanno attualmente le cose, tra le liste minori ci sono figli e figliastri, amici e "nemici". Per definizione, sono "nemici" tutti coloro che, per qualsiasi motivo, disturbano il manovratore.

Continuiamo a ragionare in astratto. Posto che l"ipotetica lista "finiana" di cui stiamo discutendo si vedrebbe negato lo spazio politico dallo schieramento di Centro-Destra, quali alternative operative avrebbe? Infatti, il coraggio da solo non basta; occorre pure un disegno lucido: valutare realisticamente di quali forze si abbia il diretto controllo e su quali altre forze si possa fare affidamento per un"alleanza reciprocamente vantaggiosa.

In linea teorica, vengono subito in considerazione due possibili partners: l"Unione di centro di Pier Ferdinando Casini e l"ApI del già citato Rutelli. Tutti questi soggetti politici sembrano accomunati dalla volontà di superare il bipolarismo dominato dalle posizioni più estremiste e demagogiche, quale si è finora realizzato in Italia. Sembrano pure accomunati dalla consapevolezza che un sistema politico può davvero dirsi liberal-democratico se prevede, accanto ad un Esecutivo reso autorevole dalla capace di decidere, una serie di contrappesi e, in primo luogo, il bilanciamento che deriva da un Parlamento libero e dotato di poteri effettivi.

Tuttavia, una cosa sono le intese che si possono realizzare nelle aule parlamentari; altra cosa, molto più difficile, è pensare di presentarsi uniti in una campagna elettorale. L"UDC, in passato, ha fatto parte del Centro-Destra; ciò dovrebbe rendere più semplice la confluenza, insieme ai "finiani", in un comune rassemblement moderato. Se non fosse che alcuni "finiani", per accreditarsi al cospetto di una mitica opinione pubblica "progressista" che esiste solo nelle loro menti, non sono alieni da proposte sfacciatamente demagogiche; tipo: concedere il diritto di voto ai sedicenni. Va benissimo poi la volontà di accreditarsi come "destra liberale"; ed è giusto, da questo punto di vista, difendere la laicità dello Stato e difendere anche quelle leggi della Repubblica italiana con le quali si è realizzato uno scostamento rispetto ai princìpi morali della religione cattolica: dal divorzio, al"interruzione volontaria della gravidanza, alla libertà di avvalersi di tecniche di controllo delle nascite.

Fermo restando il diritto della Chiesa di sollecitare le coscienze alla riflessione, affermando una verità scomoda per le logiche mondane; e fermo restando il diritto dei credenti di continuare ad essere coerenti con le proprie convinzioni circa l"indissolubilità del matrimonio, la sacralità della vita fin dal concepimento, l"apertura alla procreazione responsabile. Per quanto riguarda l"ApI, c"è da superare un ulteriore ostacolo di tipo psicologico: infatti, quanti finora sono concretamente confluiti nella formazione "rutelliana" sentono se stessi come parte dello schieramento di Centro-Sinistra e continuano a definirsi come tali.

Un rassemblement moderato — che per concessione alla mitologia progressista potrebbe insieme essere definito pure riformatore — potrebbe credibilmente proporsi al Paese soltanto se individuasse tre o quattro punti importanti, condivisi senza riserve da tutti partners che fanno parte del raggruppamento, su cui fondare una diversa politica di governo. Ad esempio, l"accenno che in questi giorni i "finiani" fanno alla proposta di abolire le province coglie un"esigenza reale, su cui si potrebbe raccogliere un vastissimo consenso popolare: razionalizzare e semplificare i livelli di governo del territorio, procedendo ad un loro complessivo riordino. E" una condizione indispensabile per la modernizzazione del Paese.

Più in generale: la gente chiede che si dimostri con provvedimenti concreti la volontà di riformare la politica, cioè di definire regole e determinare nuove condizioni strutturali a livello istituzionale con l"obiettivo di migliorare il costume politico. Non ci vuole grande fantasia. Elenco di seguito qualche modesta proposta. Ridefinire le dimensioni numeriche delle assemblee elettive, a cominciare dal Parlamento, in modo che il numero dei componenti sia in linea con l"esperienza delle più importanti democrazie dell"Europa Occidentale.

Ridurre i costi della politica a carico delle finanze pubbliche, a partire da una drastica riduzione dei rimborsi elettorali. Evitare la moltiplicazione degli enti e delle cariche istituzionali.

Ridurre i privilegi oggi accordati ai parlamentari ed ai consiglieri regionali. Evitare che la Camera ed il Senato continuino a spendere cifre ingentissime per affittare palazzi ed immobili vari nel centro di Roma. Affrontare il problema dei costi di quanti collaborano con i politici: complessivamente, dal trattamento accordato a chi, a vario titolo, fornisca consulenze, fino al trattamento corrisposto ai dipendenti di ruolo delle amministrazioni dei due Rami del Parlamento e di altri Organi costituzionali.

Ad esempio non sarebbe moralismo, ma concreta misura di moralizzazione della vita pubblica, stabilire la regola che ai percettori di pensioni al di sopra di una certa quantificazione annua non debbano mai essere riconosciuti i rinnovi contrattuali via via approvati per i dipendenti in servizio.

Anche nel caso di Istituzioni che decidono in regime di piena autonomia, come avviene per la Camera e per il Senato. Infatti, i rinnovi contrattuali accordati ai dipendenti in servizio tengono conto di un disagiato orario e di responsabilità professionali che non hanno senso quando riferiti ai pensionati. Secondo me, l"importo delle pensioni al di sopra di una certa quantificazione annua andrebbe bloccato e soltanto periodicamente aggiornato in relazione all"aumento del costo della vita. Il che sarebbe anche un modo per disincentivare i dipendenti ad andare in pensione prima del tempo, quando particolari ordinamenti autonomi lo consentano.

Per fare tutto questo occorrerebbero spalle larghe e una non comune solidità culturale. Servirebbe il coraggio di rimettere in discussione miti consolidati e sfidare i luoghi comuni. Il primo mito da combattere è quello della "partecipazione" democratica. La partecipazione è sempre positiva quando la gente volontariamente si interessi della cosa pubblica, per affermare esigenze di bene comune. La nobiltà di una partecipazione siffatta sta in una parola magica: gratis. Al contrario, concezione completamente sbagliata di "partecipazione" è quella di chi vorrebbe affollare le istituzioni rappresentative di un numero sempre più alto di soggetti e di chi vorrebbe che le decisioni, a tutti i livelli, fossero condivise dal più alto numero possibile di decisori. Condividere significa, in pratica, contrattare e chi contratta è soddisfatto soltanto se c"è un utile per lui.

Dall"erroneo presupposto di una spesa pubblica considerata come un pozzo senza fondo, la malintesa "partecipazione" democratica porta all"inarrestabile aumento della quantità di denaro che si decide di spendere. Affinché la platea dei diretti destinatari sia più ampia possibile. Per quanto riguarda poi i rappresentanti del popolo, bisogna pur stabilire il numero massimo di rappresentanti che l"economia di un Paese si possa permettere di mantenere a spese dei contribuenti! La classica soluzione istituzionale dei liberali consiste nell"eleggere nel modo più libero e consapevole possibile il giusto numero di decisori che, responsabilmente, si facciano carico di decidere nell"interesse di tutti. Decisori che vanno allontanati dal potere in successive elezioni se hanno deciso male, e che possono essere perseguiti a termini di legge se hanno approfittato indebitamente del potere che era stato loro conferito.

Altro argomento non meno importante: individuare soluzioni concrete per contrastare ogni forma d"ingerenza dei partiti nelle pubbliche amministrazioni. Bisognerebbe tendere a formare e selezionare, in tutti i settori, una dirigenza burocratica professionalmente preparata, adeguata ai compiti di istituto, consapevole di essere a servizio dell"interesse generale, rispettosa dei cittadini.

Sono convinto che dalla riforma dei costumi politici si potrebbero trarre risorse economiche importanti da destinare a finalità di rafforzamento della coesione sociale. Che significa migliorare la qualità della vita delle tante persone attualmente in stato di disagio che vivono nel nostro Paese, in modo da meglio rispettare la loro dignità umana, che si tratti di cittadini o meno. Potrebbero dei politici di professione confrontarsi seriamente con problematiche di questo tipo? Di questo c"è necessità; invece siamo saturi di tatticismi e di politica politicante.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.