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Più denunce che “esternazioni” da parte di Giorgio Napolitano

Finalmente un Presidente

Quando la cautela non basta più per porre un alt al degrado

di Elio Di Caprio - 03 ottobre 2011

Se non ora quando? Evviva l’ottantaseienne Giorgio Napolitano che non le manda a dire al settantacinquenne Presidente del Consiglio e sconfessa insieme la legge elettorale e il secessionismo della Lega. Ma perché così in ritardo? E’ l’Italia tutta in ritardo- una volta si sarebbe detto con gli “appuntamenti della Storia” con la esse maiuscola, ma qui si tratta di storia minore – senza più un euro e senza più un nocchiero, commissariata dai mercati e dalla BCE, sottoposta a un fuoco di fila di irrisioni e di sconsolate conferme di pregiudizi storici e di costume da parte della stampa e della TV di mezzo mondo.

A deteriorare l’immagine nazionale non ci sono solo i neutrini a mezzo tunnel evocati da un Ministro in carica, il dito medio di Umberto Bossi, le rivelazioni da intercettazione delle procure sui soldi elargiti dal Premier alle “escort” o la parallela incriminazione senza arresto di Filippo Penati a Milano per un sistema di corruzione targato DS, scoperto – meglio ora che mai- all’indomani dell’elezione di Giuliano Pisapia a sindaco della città lombarda.

Nessuno si è dimesso in attesa magari dell’effetto che fa il manifesto di sfiducia, a pagamento e sui giornali, di Diego della Valle che non ne può più e invita gli italiani a una rivolta morale contro l’intera classe politica, di destra o di sinistra che sia, in nome del senso dello Stato e della dignità nazionale.

Quello di Della Valle è solo un manifesto, non è un messaggio solenne a Camere riunite del Capo dello Stato, ma di questi tempi è meglio di niente, segnala un malessere che non riguarda solo chi con i redditi da lavoro non arriva a fine mese ma quella che una volta si definiva borghesia produttiva ed ora non riesce a produrre e a vendere come vorrebbe. Ma perché solo ora e non prima? Forse perché bisognava attendere l’Italia commissariata e l’immagine di un Presidente del Consiglio in mano ai faccendieri della sua vita privata e pubblica per accorgersi di aver sorretto finora un sistema divenuto chiuso a tal punto da dare spazio per uscirne solo alle proteste referendarie o ai tanti messaggi e prese di posizione di poteri non più forti coma la Confindustria, la Chiesa cattolica e ora persino il Capo dello Stato. Se il popolo lo vuole, se il referendum sacrosanto per abolire la legge elettorale porcellum s’ha da fare, ecco che sono tutti in fila a reclamare il cambiamento, dal Presidente della Repubblica al Presidente della Camera per finire a qualche esponente del PDL salvato dal voto di Scilipoti nel dicembre scorso che teme ora di pagare pegno all’avventura berlusconiana finora condivisa senza riserve.

Ma bisognava arrivare a questo punto? Tutto dimenticato, si dimentica che Fini e Casini hanno sostenuto con i loro voti la legge elettorale vigente e che gli stessi esponenti dell’Ulivo o dei DS hanno sostanzialmente condiviso una legge che consente loro di far eleggere a scatola chiusa chi vogliono se non altro per regolare i conti interni tra le fazioni contrapposte che sono rimaste tali al di là della presunta semplificazione bipolare.

Tocca ora alla Lega nord essere sotto torchio, finalmente sono state dette dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano parole chiare sulla pretesa antistorica di chi in tempi di globalizzazione vorrebbe regredire all’antico dei piccoli Stati sovrani che si reggono da soli e Pierluigi Bersani subito si accoda parlando di Lega pericolosa, quella medesima Lega che Massimo D’Alema, pur di stabilire rapporti di buon vicinato con la base leghista al di là dell’opposizione ufficiale, qualche anno fa considerava una “costola della sinistra”.

Tutto dimenticato? Ma si dimentica soprattutto l’ evento simbolo che ha dato inizio alla diaspora della Lega di Pontida. Si dimentica che un altro Capo dello Stato, Luigi Scalfaro, consentì senza fiatare che si convocasse il primo “parlamento padano” nel 1997 pur di non irritare ( o per ringraziare) la Lega che aveva fatto cadere il primo governo Berlusconi nel 1994. Nessuno ci fa più caso - ma Wilkipedia ce lo ricorda– ma il parlamento del nord ancora esiste ed è ora presieduto dal nostro Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, la sua sede è a Vicenza mentre prima era a Mantova, ha avuto come presidenti Giancarlo Pagliarini, Vito Gnutti, Manuela dal Lago, Mario Borghezio, Francesco Speroni e non è finita. Come se non bastasse (ri)scopriamo che la lista radicali - Pannella aveva presentato con successo nel 1997 come candidato al Parlamento del Nord il valtellinese Benedetto della Vedova …

E’ o è stata una innocua messa in scena, una commedia da tollerare in un’Italia che ha perso il filo delle ragioni dello stare insieme? Sono questi i precedenti di una lunga storia senza che non solo il Capo dello Stato, ma nemmeno un solo componente della Corte Costituzionale, magari a titolo personale, abbia mai avuto nulla da ridire né sul parlamento padano e né sulla legge elettorale vigente, ora criticata, che ha alterato il sistema democratico.

Tutti si muovono in ritardo e solo ora sentiamo che il presidente onorario della Corte, Valerio Onida, già candidato nelle elezioni primarie a sindaco di Milano per il centro-sinistra, ha il coraggio di denunciare apertamente legge elettorale e bipolarismo insieme quando afferma ( vedi Corriere della Sera del 28 settembre scorso) che il sistema dell’alternanza non può superare e mettere da parte il sistema parlamentare.

Altrimenti, dice Onida, il voto dei cittadini serve solo a nominare direttamente il capo dell’Esecutivo e a blindare in Parlamento il consenso iniziale ottenuto dal leader che vince le elezioni. Così i partiti non hanno bisogno di programmi, anche se li sbandierano, hanno solo un leader indiscusso - prendere o lasciare - e noi invece abbiamo bisogno di vere elezioni, non di un concorso di bellezza tra leaders. Ne è derivato un bipolarismo coatto, lo dice sempre Onida, che prescinde dalla qualità dei poli e alla fine scopriamo che viene premiata non la maggioranza ma la minoranza più forte. Ben detto, ma in ritardo.

La verità è che sono in tanti a non aver fatto la loro parte in questi anni assumendosene le responsabilità che vanno al di là della comoda formula del berlusconismo imputato di tutti i mali.

Ormai è pure inutile domandarsi il perché ciò è accaduto e ancora accade: si può correre concordemente al precipizio quando gli interessi particolari o di partito prevalgono su quelli generali, quando il senso dello Stato ( ancora nazionale?) manca proprio in quelli che lo rappresentano, quando si gioca alla democrazia con le scorciatoie populiste senza avere neppure l’idea di un progetto Italia per il futuro. Ma non è mai troppo tardi per mettere un punto fermo al degrado magari cominciando proprio da un messaggio ufficiale del Capo dello Stato che dia compiutezza alle critiche e alle denunce “casualmente” esternate all’Università di Napoli con riguardo a tutte le incongruenze in cui ci siamo cacciati – non ci sono solo la legge elettorale e la presenza di una sentinella secessionista in seno al Governo- e indichi la necessità di una seria riforma della Costituzione. Se non ora quando? Ma lo farà mai Giorgio Napolitano? Intanto ci teniamo questa Costituzione già malamente ritoccata e super osannata anche quando a conti fatti ci accorgiamo che non ha impedito nè l’avvilimento del Parlamento dei nominati e tanto meno i conflitti e l’alterazione crescente di quell’equilibrio tra poteri che la stessa Carta (a parole) prevede a garanzia dello Stato unitario.

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