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Capitalismo italico da dialisi

Film già visti

Finmeccanica, Saipem,Mps. Il circuito mediatico-giudiziario si è rimesso in moto.

di Enrico Cisnetto - 15 febbraio 2013

Non così, non per la seconda volta. Il nostro capitalismo, e più in generale la classe dirigente italica, hanno un disperato bisogno di sottoporsi a dialisi. Ma se al posto del mercato, del merito e, quando le tocca, della politica, c’è la magistratura o, peggio, il cosiddetto circuito mediatico-giudiziario, a fare da selettore, allora il ricambio che viene imposto non genera nulla di buono, anzi. È un film che abbiamo già visto vent’anni fa, quando con Tangentopoli non solo cadde la Prima Repubblica ma, con gli arresti a raffica di imprenditori e manager, s’innescò un processo di cambiamento degli equilibri tra i grandi gruppi e dentro le aziende. Non è stato un bel film. E, soprattutto, non ha affatto migliorato – sia sotto il profilo etico che quello della dimensione e della crescita – il nostro apparato produttivo e più in generale il nostro sistema economico. Ora la storia si ripete. Casi eclatanti, da Mps a Finmeccanica passando per Saipem. Casi estremi, come quello dell’Ilva. E vicende minori: per esempio, gli arresti di Cellino e Rizzoli, tanto per citare solo il mattinale di ieri. Con l’aggravante, rispetto al 1992-94, che nel frattempo l’Italia ha vissuto una lunga fase depressiva, prima di rallentamento dell’economia, poi di crescita zero e quindi, negli ultimi cinque anni, di pesante recessione (sette punti e mezzo di pil bruciati) che proietta la sua ombra sinistra anche sul 2013 (parte già da -1%). Quindi, una nuova stagione di scandali e manette, in una situazione come questa, non può che diventare un micidiale moltiplicatore della crisi, con conseguenze devastanti.

Prendiamo il caso Finmeccanica. Da mesi circolavano voci su imminenti provvedimenti giudiziari per i vertici, relativi a un reato, la corruzione internazionale, che così com’è è destinato a impedire alle nostre aziende di lavorare quasi ovunque nel mondo. Ma il tema era un altro: appariva fin troppo chiaro che quei vertici, al netto dei problemi giudiziari, erano inadeguati al compito di guidare quel gruppo complesso che è Finmeccanica, come dimostrano – ed è solo una fra le tante ragioni – i maldestri tentativi di (s)vendere le varie Ansaldo. Ce n’era abbastanza perché Palazzo Chigi e il Tesoro decidessero un bel ricambio, magari già ai tempi dell’uscita di Guarguaglini. Ma così non è stato. La politica – anzi, un governo “tecnico”, il che è tutto dire – ha abdicato, lasciando che a decidere fosse la magistratura, e ora Finmeccanica è ridotta a una larva, esposta al rischio che qualche avvoltoio se la porti via.

Follia italica. Come quella che ha spinto taluni a “sparare” la notizia che Paolo Scaroni è indagato e a chiedersi perché non si dimetta. Ora, io non so se siano state pagate tangenti da Saipem per avere commesse in Algeria, e se il vertice dell’Eni ne fosse al corrente. Ma due cose sono certe. Primo: i dirigenti della Saipem sono stati prontamente rimossi dopo che si sono aperte le indagini, in piena collaborazione con la magistratura. Secondo: non possono essere confuse le commissioni che all’estero normalmente si pagano per poter ottenere commesse e fare forniture, con tangenti nazionali. Tutto il mondo agisce in questo modo e altrove non c’è magistrato che contesti questa prassi. I magistrati devono fare luce, ci mancherebbe altro, ma bisogna assolutamente fermare questo voler mettere tutto e tutti nel tritacarne, a solo vantaggio degli interessi altrui.

Non meno autolesionista mi sembra il clima che si è creato intorno alla vicenda Mps. Le indagini fatte a livello mediatico, dove le ipotesi di reato diventano già sentenze passate in giudicato, hanno generato un polverone che finisce per danneggiare la banca, i suoi azionisti e correntisti e in generale il sistema bancario ed economico, impedendo di distinguere, per esempio, le responsabilità e la condizione della banca di ieri da quelle di oggi. Danno che diventa nazionale quando nel mirino finisco Draghi e la Banca d’Italia. Ma nessuno – tranne il Capo dello Stato – ha alzato un dito per porre un freno a questa deriva. Avete forse trovato traccia delle parole spese da Ignazio Visco sabato scorso al Forex, quando ha chiesto che alle autorità di vigilanza vengano incrementati i poteri di sanzione nei confronti dei vertici delle banche? Il governatore ha sollecitato un cambiamento normativo: qualcuno gli ha risposto? Nello stesso tempo Visco ha chiesto che si “controllino scrupolosamente notizie e supposizioni” perché “ipotesi e giudizi incontrollati, a volte infondati e temerari, possono provocare danni gravi”: neppure uno straccio di condivisione, il tiro alla banca è continuato come quello al piccione. Il fatto è che c’è un enorme vuoto politico. E più passano i giorni, e più cresce la sensazione che le elezioni non lo colmeranno, anzi. Che sia questo il nocciolo della questione?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.