Fabbrica Italia
Fiat-Finmeccanica. Le colpe del governo
Auto e aerospazione. Due facce dell'assenza della politica industrialedi Enrico Cisnetto - 16 settembre 2012
Fiat e Finmeccanica sono due facce di una medesima medaglia, chiamata politica industriale (che non c’è). Nello stupore degli stolti, Marchionne ha reso esplicita la sua decisione da sempre – non c’è spazio per produrre auto in Italia, la Fiat va negli Usa – che per lungo tempo aveva occultato grazie ad una folta schiera di creduloni (veri e per convenienza).
Le condizioni per fare Fabbrica Italia e investire 20 miliardi non ci sono oggi come non c’erano in precedenza. Solo che adesso, con il crollo del mercato dell’auto, la scelta di mollare gli ormeggi appare più giustificata. Ed è proprio quello che Marchionne aspettava quando decise di “guadagnare tempo”, con la storia dei referendum sindacali – paradossalmente basati su scelte contrattuali complessivamente giuste – e le varie forzature con cui ha voluto logorare il rapporto tanto con i sindacati quanto con Confindustria (fino all’uscita).
Personalmente, l’ho detto e scritto a più riprese che Marchionne aveva ragione nel merito ma bluffava sugli obiettivi, incitandolo a dire con chiarezza che intendeva varcare l’oceano – scelta perfettamente legittima, se solo fosse stata trasparente – mentre ministri e sindacalisti, banchieri e giornali gli davano colpevolmente credito. Così il Paese ha buttato anni. Per colpa di Marchionne, certo, ma soprattutto per responsabilità di chi avrebbe dovuto costringerlo a girare le sue carte. Invece, comprava tempo lui, ma lo compravano anche i suoi interlocutori, speranzosi che al momento topico il cerino bruciasse le dita di qualcun altro.
Stessa cosa per Finmeccanica. Con l’aggravante che in questo caso il Tesoro detiene la golden share. A furia di attendere manager all’altezza e piani industriali capaci di guardare allo sviluppo – a (s)vendere sono capaci tutti – e mostrandoci incapaci di giocare un ruolo a livello di relazioni tra governi nello scacchiere dell’industria di aerospazio e difesa, ci siamo ridotti a dover prendere atto, impotenti, che le nozze del secolo tra Eads e Bae non possono che danneggiare Finmeccanica. Perchè se quell’accordo si compie, facendo nascere un colosso da 90 miliardi, per Finmeccanica si chiuderebbero molti mercati (un analista di Mediobanca ha definito “drammatica” la prospettiva) e rimarrebbe una sola possibile alleanza, quella con Thales, eventualmente realizzabile da posizioni di estrema debolezza.
Insomma, siamo di fronte all’estromissione dell’industria italiana della difesa dai mercati mondiali dove conta sempre di più la “massa critica” e la capacità di integrare sistemi e prodotti. E se è vero che Finmeccanica è un fondamentale strumento di politica estera, sarebbe lecito attendersi dall’azionista governo decisioni rapide su strategie e management. E non ci si venga a dire dell’autonomia di Finmeccanica e dell’estraneità dello Stato da Fiat. Nei paesi liberisti, a cominciare da quelli anglo-americani, sarebbero già intervenuti con forte moral suasion da tempo.
Le condizioni per fare Fabbrica Italia e investire 20 miliardi non ci sono oggi come non c’erano in precedenza. Solo che adesso, con il crollo del mercato dell’auto, la scelta di mollare gli ormeggi appare più giustificata. Ed è proprio quello che Marchionne aspettava quando decise di “guadagnare tempo”, con la storia dei referendum sindacali – paradossalmente basati su scelte contrattuali complessivamente giuste – e le varie forzature con cui ha voluto logorare il rapporto tanto con i sindacati quanto con Confindustria (fino all’uscita).
Personalmente, l’ho detto e scritto a più riprese che Marchionne aveva ragione nel merito ma bluffava sugli obiettivi, incitandolo a dire con chiarezza che intendeva varcare l’oceano – scelta perfettamente legittima, se solo fosse stata trasparente – mentre ministri e sindacalisti, banchieri e giornali gli davano colpevolmente credito. Così il Paese ha buttato anni. Per colpa di Marchionne, certo, ma soprattutto per responsabilità di chi avrebbe dovuto costringerlo a girare le sue carte. Invece, comprava tempo lui, ma lo compravano anche i suoi interlocutori, speranzosi che al momento topico il cerino bruciasse le dita di qualcun altro.
Stessa cosa per Finmeccanica. Con l’aggravante che in questo caso il Tesoro detiene la golden share. A furia di attendere manager all’altezza e piani industriali capaci di guardare allo sviluppo – a (s)vendere sono capaci tutti – e mostrandoci incapaci di giocare un ruolo a livello di relazioni tra governi nello scacchiere dell’industria di aerospazio e difesa, ci siamo ridotti a dover prendere atto, impotenti, che le nozze del secolo tra Eads e Bae non possono che danneggiare Finmeccanica. Perchè se quell’accordo si compie, facendo nascere un colosso da 90 miliardi, per Finmeccanica si chiuderebbero molti mercati (un analista di Mediobanca ha definito “drammatica” la prospettiva) e rimarrebbe una sola possibile alleanza, quella con Thales, eventualmente realizzabile da posizioni di estrema debolezza.
Insomma, siamo di fronte all’estromissione dell’industria italiana della difesa dai mercati mondiali dove conta sempre di più la “massa critica” e la capacità di integrare sistemi e prodotti. E se è vero che Finmeccanica è un fondamentale strumento di politica estera, sarebbe lecito attendersi dall’azionista governo decisioni rapide su strategie e management. E non ci si venga a dire dell’autonomia di Finmeccanica e dell’estraneità dello Stato da Fiat. Nei paesi liberisti, a cominciare da quelli anglo-americani, sarebbero già intervenuti con forte moral suasion da tempo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.