Votare per "FARE" è davvero inutile?
Fermare il delirio
Intanto facciamo la conta di quanti sono i nostri connazionali non più disposti a far la parte degli ostaggi.di Davide Giacalone - 25 gennaio 2013
Gli elettori che voteranno per “Fare - Fermare il declino” non appartengono alla categoria di quanti si svegliano la mattina con la voglia di vincere, a qualsiasi costo. Ma ci andrei piano nel considerare la loro scelta un voto inutile.
Gli elettori che credono la sinistra sia il luogo della giustizia e dell’equità sono stati presi in ostaggio prima dalla tradizione comunista, che è stata miseramente ingloriosa (il professor Monti non sa quel che dice, ma lo dice con sicumera pari solo all’abisso d’ignoranza che mette in luce) e foriera d’ogni negazione della libertà, poi dal gruppo dirigente che ne è residuato, sopravvissuto in un intreccio di affari e blocco sociale di cui le coop emiliane e il Monte dei Paschi di Siena sono solo due esempi. Gli elettori che credono la destra sia il luogo ove si coltiva l’attenzione al mercato e il contenimento dello Stato sono stati presi in ostaggio da maggioranze scombiccherate, con una capacità riformista pressoché inesistente e capaci di far crescere sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. I due gruppi d’ostaggi sono ben consapevoli dell’inferno nel quale si trovano, ma ritengono che finire ostaggi della banda rivale sia peggio. Ecco, quegli elettori che usciranno di casa e voteranno per “Fare – Fermare il declino”, negano che si possa e si debba restare ostaggi.
L’Italia è un sistema produttivo assai forte. Un’economia che ha capacità di ripresa straordinarie. Ma il sistema Italia è fiaccato dall’immobilismo, svenato dal pagamento di montagne di spese inutili, incatenato alla conservazione dell’esistente, inchiodato da corporativismi che sono aggregazioni di debolezze estreme, ma anche di velenose arroganze. Una rottura ci vuole. Ma non basta.
Fra un mese ci saremo tolti dai piedi questa insulsa campagna elettorale. La sinistra dirà di avere vinto, sperando di portare a casa la maggioranza degli eletti alla Camera dei Deputati, ma avrà perso. Non tanto perché potrebbe non prendere la maggioranza al Senato, ma, anzi, all’opposto, perderà più seccamente se vincerà anche nella seconda Aula, perché misurerà la propria incapacità di governare un passaggio doloroso, finendo sotto tutela internazionale e interna. La destra dirà di avere vinto se riuscirà a restare la seconda forza, punendo la presunzione di chi fu sleale con le forze che lo sostennero e arginando la crescita del voto di protesta. Poi, però, resterà una formazione vuota di classe dirigente, che anche nel far “pulizia” cede ai pregiudizi altrui e perde tragicamente la battaglia per una giustizia giusta e una politica che non si faccia dominare dalle procure. La somma dei loro voti, il primo più il secondo, con ogni probabilità, non farà la metà dei voti degli italiani (considerando tali anche quelli di chi vorrà astenersi). Non credo sia necessario aggiungere altro.
Questi sono i detriti che il voto di febbraio lascerà. Da quel punto in poi c’è bisogno che qualcuno si prenda l’incarico di cambiare la sinistra, spazzando via non solo un personale inamovibile, ma anche idee impresentabili. E c’è bisogno che qualcuno si prenda la briga di cambiare la destra, creando una classe dirigente e dando concretezza a idee altrimenti destinate a diventar barzellette. Senza deliri personalistici e senza partitini ridotti a sette, ove decide quello che si autoproclama santone. Da una parte e dall’altra sarà possibile fare un buon lavoro solo se si partirà con il piede della condivisione circa le riforme costituzionali. Irrinunciabili. La parte che non avrà innovatori sparirà. Se non ve ne fossero del tutto l’Italia degraderà. Non ci credo e non ci voglio credere. Intanto facciamo la conta di quanti sono i nostri connazionali non più disposti a far la parte degli ostaggi.
Gli elettori che credono la sinistra sia il luogo della giustizia e dell’equità sono stati presi in ostaggio prima dalla tradizione comunista, che è stata miseramente ingloriosa (il professor Monti non sa quel che dice, ma lo dice con sicumera pari solo all’abisso d’ignoranza che mette in luce) e foriera d’ogni negazione della libertà, poi dal gruppo dirigente che ne è residuato, sopravvissuto in un intreccio di affari e blocco sociale di cui le coop emiliane e il Monte dei Paschi di Siena sono solo due esempi. Gli elettori che credono la destra sia il luogo ove si coltiva l’attenzione al mercato e il contenimento dello Stato sono stati presi in ostaggio da maggioranze scombiccherate, con una capacità riformista pressoché inesistente e capaci di far crescere sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. I due gruppi d’ostaggi sono ben consapevoli dell’inferno nel quale si trovano, ma ritengono che finire ostaggi della banda rivale sia peggio. Ecco, quegli elettori che usciranno di casa e voteranno per “Fare – Fermare il declino”, negano che si possa e si debba restare ostaggi.
L’Italia è un sistema produttivo assai forte. Un’economia che ha capacità di ripresa straordinarie. Ma il sistema Italia è fiaccato dall’immobilismo, svenato dal pagamento di montagne di spese inutili, incatenato alla conservazione dell’esistente, inchiodato da corporativismi che sono aggregazioni di debolezze estreme, ma anche di velenose arroganze. Una rottura ci vuole. Ma non basta.
Fra un mese ci saremo tolti dai piedi questa insulsa campagna elettorale. La sinistra dirà di avere vinto, sperando di portare a casa la maggioranza degli eletti alla Camera dei Deputati, ma avrà perso. Non tanto perché potrebbe non prendere la maggioranza al Senato, ma, anzi, all’opposto, perderà più seccamente se vincerà anche nella seconda Aula, perché misurerà la propria incapacità di governare un passaggio doloroso, finendo sotto tutela internazionale e interna. La destra dirà di avere vinto se riuscirà a restare la seconda forza, punendo la presunzione di chi fu sleale con le forze che lo sostennero e arginando la crescita del voto di protesta. Poi, però, resterà una formazione vuota di classe dirigente, che anche nel far “pulizia” cede ai pregiudizi altrui e perde tragicamente la battaglia per una giustizia giusta e una politica che non si faccia dominare dalle procure. La somma dei loro voti, il primo più il secondo, con ogni probabilità, non farà la metà dei voti degli italiani (considerando tali anche quelli di chi vorrà astenersi). Non credo sia necessario aggiungere altro.
Questi sono i detriti che il voto di febbraio lascerà. Da quel punto in poi c’è bisogno che qualcuno si prenda l’incarico di cambiare la sinistra, spazzando via non solo un personale inamovibile, ma anche idee impresentabili. E c’è bisogno che qualcuno si prenda la briga di cambiare la destra, creando una classe dirigente e dando concretezza a idee altrimenti destinate a diventar barzellette. Senza deliri personalistici e senza partitini ridotti a sette, ove decide quello che si autoproclama santone. Da una parte e dall’altra sarà possibile fare un buon lavoro solo se si partirà con il piede della condivisione circa le riforme costituzionali. Irrinunciabili. La parte che non avrà innovatori sparirà. Se non ve ne fossero del tutto l’Italia degraderà. Non ci credo e non ci voglio credere. Intanto facciamo la conta di quanti sono i nostri connazionali non più disposti a far la parte degli ostaggi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.