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Una notizia strategica passata inosservata

Federal Reserve: Bernanke e il nodo M3

Gli effetti delle decisioni della Fed sulla politica monetaria.E una lezione per l’Europa

di Alessandro D'Amato - 21 marzo 2006

Tra breve la Federal Riserve, la banca centrale americana, smetterà di pubblicare i dati relativi all’aggregato monetario M3. La notizia è passata quasi inosservata, in quanto giudicata molto “tecnica” e in fondo anche priva di un significato facilmente interpretabile. Ma sembrerebbe davvero strano che le decisioni di Ben Bernanke fossero senza significato, se non altro perché il Governatore della più importante banca centrale del mondo non fa di certo le cose a caso. Ma forse è meglio prima spiegare che cos’è l’M3. In economia, si è soliti dividere ciò che comunemente chiamiamo moneta in tre aggregati diversi, che si differenziano per il grado di “liquidità” a breve di ognuno. E quindi M1 è l’indicatore della quantità di moneta che comprende il circolante e i depositi bancari in conto corrente, facilmente liquidabili in pochissimo tempo. Con M2 si intende invece un indicatore della quantità di moneta che comprende l"M1, i depositi a risparmio bancari e postali, i buoni postali fruttiferi, la raccolta bancari con p/t (pronti contro termine) e i certificati di deposito bancari. L’M3 è invece l’indicatore principale della quantità di moneta presente in un sistema economico. In Italia nell"M3 sono incluse M2, i Bot e le accettazioni bancarie. Tale aggregato è composto dal circolante, dai fondi del mercato monetario, dai depositi a breve termine e da quelli monetari degli operatori istituzionali e del paese all’estero. Secondo gli ultimi dati disponibili, quelli di ottobre 2005, M1 ha raggiunto i 1,37 trilioni di dollari, M2 i 6,63 trilioni e M3 ha superato per la prima volta i 10 trilioni. Negli ultimi dodici mesi, M1 è cresciuta del 6%, M2 del 4% e M3 del 7,3%. Negli ultimi dieci anni M3 è raddoppiata e cresce attualmente al ritmo di 600 miliardi di dollari l"anno.

L’aggregato M3 è da sempre stato particolarmente importante come punto di riferimento per valutare la politica monetaria americana e, di conseguenza, per comprendere il ciclo mondiale – che a quello statunitense è strettamente collegato e lo sarà per chissà quanto tempo – ed è cresciuto ad un ritmo a doppia cifra durante gli anni ’70; si è poi contratto durante gli ’80 per riprendere a crescere durante l’amministrazione Clinton (e le presidenza di Greenspan). Dal 2000, il tasso di crescita si è prima ridotto durante il crollo dei mercati azionari, per poi crescere in maniera robusta negli ultimi due anni, quelli di una ripresa generale degli Usa e del mondo. Insomma, finora è sempre andata così: quando l’M3 si espande, i tassi di interesse scendono e gli asset reali crescono (anni ’70 e post-2000). Gli anni ’90 hanno visto gli asset reali ristagnare nonostante l’espansione monetaria.

E il motivo quale può essere? La lotta all’inflazione? No. Se la Fed volesse restringere l’offerta di moneta per combattere il rischio inflazione non avrebbe motivo di “occultare” il dato M3, anzi. Si può invece ipotizzare una spiegazione andando a ritroso con la storia dell’aggregato M3 nelle parole del predecessore di Bernanke. Nel novembre 2002 Greenspan aveva affermato in un discorso al Council on Foreign Relations che la Fed avrebbe, se necessario, salvato il sistema finanziario per mezzo del proprio “potere illimitato di creare denaro”. Due giorni dopo Bernanke, che allora era uno dei direttori regionali della Fed, affermò al National Economic Club che la Fed aveva la capacità di “creare quanti dollari desideri, essenzialmente a costo zero”. Bernanke quindi citò Milton Friedman, che aveva parlato dell"opportunità di “gettare denaro dagli elicotteri” se fosse necessario: una specie di visione keynesiana della dottrina monetarista, verrebbe da dire. Ma se la Fed compra ad oltranza ogni sorta di titoli finanziari in cambio di contanti, questa emissione lascia inevitabilmente delle tracce nel volume degli aggregati della scorta monetaria. La Fed può permettersi una stagnazione del mercato azionario (generato dall’aumento dei tassi a breve) e persino una recessione che la curva invertita genererà con buona probabilità, ma non può permettersi la perdita di fiducia nel dollaro che un progressivo aumento noto a tutti della massa monetaria può provocare. L’obiettivo è piuttosto quello di evitare la deflazione e la “soft-depression” stile Giappone, che potrebbe innescarsi nel caso una vera contrazione monetaria dovesse aver luogo (cosa che comunque non avverrà). L’aumento dei tassi a breve mantiene buona la fiducia nella valuta americana e nella capacità degli Usa di fronteggiare l’inflazione, mentre l’aumento dell’M3 scongiurerà la deflazione. Da un lato la Fed deciderà quanta moneta “stampare” (molta per evitare la deflazione) e cercherà anche di fissare la qualità di questa moneta (buon potere d’acquisto, per evitare la sfiducia nella propria moneta). Ricapitolando: la mossa della Fed è necessaria per una strategia di ampio respiro, che mira ad attutire o addirittura ad annullare un effetto che non solo ancora non si vede negli indicatori Usa, ma che, se arriverà, lo farà soltanto tra 6 o 12 mesi. Alla faccia del liberismo forsennato che molti sono convinti essere il responsabile della crescita degli States, dietro ogni mossa delle autorità monetarie c’è uno studio delle migliori strategie da adottare ad ampio respiro – della cosa infatti si discuteva da quattro anni – e, una volta che le decisioni vengono prese, si perseguono fino alla fine e senza passi indietro – a meno di dati oggettivi che facciano pensare che le strategie siano errate. In questo caso, conta poco che la mossa di Bernanke sia volta ad assicurare stabilità al mercato interno a discapito di quello estero. Anche perché da una stabilità degli Usa tutto il mondo, da molti punti di vista, ha da guadagnare. Quel che conta è che Bernanke si comporta così e sceglie di muoversi indipendentemente dalla politica, e avrebbe preso le sue decisioni anche con un democratico alla Casa Bianca. Questo dovrebbe essere d’insegnamento a tutte le autorità monetarie europee. E anche ai politici, ma con loro, ormai, non c’è più davvero speranza.

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