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Fughi ogni dubbio traendone le conseguenze

Fazio, che tristezza

Così il Governatore permette alla magistratura di tornare a influire sulle grandi scelte

di Enrico Cisnetto - 29 luglio 2005

Che tristezza. Per chi, come il sottoscritto, ha sempre difeso l’istituzione Banca d’Italia, ritenendola un baluardo indispensabile della nostra economia, ha cercato di evitare che gli attacchi, spesso sconsiderati, al Governatore si trasformassero in una devastante “tangentopoli bancaria” e ha considerato la moral suasion uno strumento più che legittimo per tutelare un bene primario come la cosiddetta “italianità del sistema del credito”, che è qualcosa di più e di diverso dalla banale salvaguardia di qualche interesse specifico, ebbene per chi ha sempre sostenuto queste tesi, anche quando era particolarmente scomodo – quanto volte mi sono beccato le contumelie dei (presunti) difensori dei risparmiatori – vedere quello che accade in queste ore è a dir poco avvilente. E comunque la giri. Da un lato amareggia che la magistratura sia tornata arbitra delle grandi scelte, che i giornali tornino a riempirsi di intercettazioni telefoniche, che una nuova ondata di giustizialismo sembra prendere ancora una volta il sopravvento. Ma dall’altro, è pur vero che qualcuno ha regalato questa chance di rieditare il 1992-1994 a chi ne ha nostalgia, che qualcuno ha fatto telefonate che non doveva fare e ha detto cose che non doveva dire. Se dei funzionari di Bankitalia, interrogati, dicono che il loro parere su alcuni dossier era diverso da quello, che poi è prevalso, del Governatore, la “colpa” sta nel non aver messo avanti a tutto il senso dell’istituzione (in parole povere, di non aver detto una bugia) da parte di quei dirigenti, o nell’aver voluto superare limiti che non dovevano essere valicati da chi ha la suprema responsabilità di quella istituzione che, appunto, si vuole sacra? Si può imprecare quanto si vuole contro il linguaggio sfrontato di Dagospia, ma la prudenza sta nel non fornirgli munizioni, specie poi se attengono allo stile del comportamento personale e famigliare. Insomma, da un lato c’è il qualunquismo, ma dall’altro c’è chi lo alimenta con comportamenti diversi da quelli che è legittimo attendersi.

D’altra parte, questa storia nasce esattamente un anno fa, quando Antonio Fazio non capisce che l’uscita di Giulio Tremonti dal governo dovrebbe indurlo ad essere il primo sostenitore della nuova legge sul risparmio. Ma invece di accontentarsi di un onesto pareggio, Fazio vuole vincere, forte di un nuovo rapporto sia con Berlusconi – niente affatto estraneo alle opa di Fiorani e Consorte, ma soprattutto alla “rete” di nuovi “poteri forti” (si fa per dire) che via Gnutti e la sua razza padana si sta costruendo, e che arriva fino al Ricucci che scala Rcs – sia con Lega, che non a caso gli rimedia il suo “baciatore in fronte” Fiorani. Nel frattempo praticamente tutta la sinistra (anche quella della “finanza rossa” di Unipol) e le componenti moderate del centro-destra (sarà un caso, coloro che lo avevano difeso dagli attacchi di Tremonti) lo abbandonano al suo destino, mentre in via Nazionale prevale la logica del bunker, dove il Governatore è ormai asserragliato con un pugno di fedelissimi. E’ sempre inelegante autocitarsi, ma sfuggo al bon ton perché nell’autunno scorso proprio in questa rubrica mi ero permesso di lanciare un appello a Fazio, dicendo che era venuto il momento di riprendere il cammino (interrotto) verso la modernizzazione del nostro sistema economico e finanziario, e che proprio dal magistero della banca centrale era lecito attendersi un contributo decisivo in questa direzione. Ebbene, non solo questo contributo non è arrivato, ma le scelte compiute sono addirittura andate nella direzione opposta. La cosa imperdonabile è che non c’è niente di peggio che far camminare le idee buone sulle gambe sbagliate. Si sono sacrificati principi sacrosanti, come quello della difesa dell’interesse nazionale, perché se ne è affidata la rappresentanza a chi non ne aveva titolo. Lasciando che si scatenasse una “guerra per banche” che per l’ennesima volta insanguina il capitalismo italiano, con l’ausilio di giornalisti-pistoleros e di ministri da strapazzo che fino a ieri si facevano beffe del principio dell’italianità, e chiedevano l’impeacement di chi oggi si affida inopinatamente loro.

Io non sono mai stato tra coloro che si strappano le vesti per un “arbitro interventista” che “dirige il traffico”, e se per creare un contraltare agli spagnoli del Bbva e agli olandesi dell’Abn-Amro – che in casa loro non lesinano interventi a gamba tesa – si fossero montate cordate italiane serie, sarei stato il primo ad applaudire. Invece, ecco due opa di soggetti piccoli che vogliono mangiarne di grandi ricorrendo al debito (vedi le put and call con le banche finanziatrici), pur sapendo che, trattandosi di istituti di credito, i requisiti patrimoniali degli acquirenti sono ancor più decisivi. Insomma, le famose “gambe sbagliate”. E quando si sbaglia, e si vuole salvaguardare la propria dignità e la responsabilità che si porta, occorre saper pagare anche un prezzo che si ritiene, e probabilmente è, immeritato. Caro Governatore, è con l’amicizia e la stima di sempre che mi permetto di suggerirle di “trarre le conclusioni” prima che la canea giustizialista abbia il sopravvento e con Lei si finisca per travolgere anche la Bankitalia e lo stesso sistema bancario. Per il suo bene e per quello di questo Paese che io, molto più degli amici dell’ultima ora da cui è circondato, so quanto Lei ami profondamente.

Pubblicato sul Foglio del 29 luglio 2005

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