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Il dibattito sul pantheon del Partito Democratico

Fassino alla ricerca dei padri perduti

Scomodare Craxi e Berlinguer significa non avere né idee né identità. Un buon inizio

di Elio Di Caprio - 16 aprile 2007

I pentimenti, le autocritiche a ripetizione degli ex comunisti da Occhetto, a Fassino, ora a Violante- per non parlare di Walter Veltroni che dichiara di non essere stato mai comunista- non finiscono mai, tanto più ora che devono rifondare un accrocchio di partito democratico assieme a quella che una volta si definiva la sinistra DC. A furia di pentirsi non resta niente se si ammette una sconfitta storica non dei singoli personaggi che per decenni hanno capeggiato il vecchio Pci, da Togliatti, a Longo, a Natta, all"ultimo Berlinguer, ma di un intero ceto politico che è sempre arrivato in ritardo agli appuntamenti della storia e ora lo riconosce senza tentennamenti.

A sentire l"ex magistrato e ora esponente di punta dei DS, Luciano Violante, bisogna ammettere “gli errori politici gravi che hanno pesato sulla storia d"Italia”, si deve fare ammenda dell"autocompiacimento dei comunisti che sconfinava spesso in arroganza (ne sa qualcosa il suo compagno di partito Massimo D"Alema), della disattenzione per i diritti civili in nome del primato di quelli sociali, della scarsa laicità nei rapporti con la società e con la Chiesa. Infine, secondo Violante, è stato un errore l"aver fatto di Bettino Craxi una sorta di capro espiatorio criminalizzando l"intero partito socialista.

Ma il vero contro senso, più che l"errore, che pesa ancora sulla storia italiana è che la sconfitta ideale e storica dei comunisti, almeno in Italia, non sia avvenuta prima della sconfitta politica dei socialisti di Craxi. Le conseguenze a cascata di tale incongruenza arrivano fino a noi, hanno condizionato e condizionano ancora la stessa tenuta dei due schieramenti bipolari di destra e sinistra, ancora privi di un orizzonte conclusivo.

La ferita Craxi brucia ancora assieme a quella dei due grandi partiti, la DC e il Psi, spariti dall"agone politico, almeno così sembra, a causa delle inchieste giudiziarie superpoliticizzate degli anni "90. Ma poi è andata proprio così? O le cause di quanto accaduto non vanno ricercate piuttosto in un sistema consociativo, superato dai tempi, comodo tanto alla DC quanto al PCI, che invano Craxi ha cercato di mettere in mora e a superare?

Le ragioni della sconfitta, politica se non storica, di Craxi e del terzo incomodo, il partito socialista, andrebbero ricercate più che nelle vicende terminali di Tangentopoli nel non essere riusciti mai a superare la fatidica soglia del 13-15% dei consensi elettorali, nonostante gli sforzi di autonomia impiegati su più fronti. Per più di quaranta anni i vari partiti della Prima Repubblica- meno numerosi che nell"attuale bipolarismo, ma sempre tanti - non erano obbligati come ora a stringere accordi e programmi pre-elettorali comuni su cui chiedere un consenso di coalizione. In tale contesto il peso ridotto dei socialisti rispetto ai grandi partiti di massa ha sempre costituito il loro vero handicap per proporsi, ad elezioni avvenute, come l"ago principale della bilancia e in prospettiva assumere la leadership in prima persona.

Se si leggono i diari pubblicati qualche anno fa del principale collaboratore dell"ex presidente del consiglio Ciriaco De Mita negli anni "80, Santagata, è descritto a profusione il gioco a rimpiattino tra i due grandi rivali di allora, il democristiano De Mita ed il socialista Craxi, l"uno che tentava di catturare i socialisti prima delle elezioni con un accordo di programma, l"altro che cercava in tutti i modi di sottrarsi e di avere le mani libere per il dopo elezioni. Ma dove poteva mai arrivare il PSI di Craxi senza esser riuscito a scalfire gli ex colossi della DC e del PCI? Sembra quasi che il Craxi degli anni "80-90, pur di continuare ad avere determinante voce in capitolo, sia stato anch"egli costretto ad allinearsi alla prassi dei “due forni“ di Andreotti, spostandosi ora a destra e ora a sinistra secondo le convenienze. Un tale gioco non poteva protrarsi all"infinito, tanto è vero che il PSI venne sorpreso da Tangentopoli mentre spartiva il potere centrale con la DC e quello periferico e sindacale con il PCI.

Era il sistema in sé del lungo dopoguerra, immobile e al contempo ambiguo, che doveva comunque arrivare al capolinea e ci è arrivato anche grazie al mutato equilibrio dei rapporti internazionali dovuto alla fine della guerra fredda, con Craxi o senza Craxi con o senza Tangentopoli. Si possono capire anche le illusioni dei comunisti che, tenuti ai margini della grande politica ma conniventi nelle tante pieghe di potere culturali e sindacali lasciate aperte del sistema allora vigente, hanno pensato di cogliere la grande occasione della sconfitta “morale” dei socialisti per afferrare un"egemonia e uno spazio che il nemico storico della DC non gli aveva mai concesso per quarant"anni, ad eccezione dei tentativi falliti di compromesso di Aldo Moro. Ma quella dei comunisti si è rivelata una scommessa a somma zero, terminata con l"entrata in campo del presunto outsider Silvio Berlusconi che già aveva conosciuto alla perfezione i circuiti di governo e sottogoverno all"ombra del potere di Craxi.

Che vale quindi santificare o dannare oggi un personaggio complesso come Craxi schiacciato e immolato in un ingranaggio più grande di lui? Farlo rivivere nel “pantheon” del nuovo partito democratico, accanto a Berlinguer, anch"egli sconfitto dai tempi, non per essersi mosso in anticipo come Craxi, ma troppo tardi, non ha nessun senso esemplare. Dimostra ancora una volta il costo delle tante rimozioni che la sinistra nel suo insieme ha dovuto fare nell"arco di più di un secolo per non dichiararsi sconfitta e rimontare. Non serve certamente ora a dare l"immagine di un “nuovo” inizio o a rifondare l"incerta identità del partito democratico.

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