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Confusione nel Pd

Fassina di lotta e di governo

La metamorfosi del giovane turco: da ferreo oppositore all'alleanza con il Pdl, a bravo scolaretto dopo la nomina a vice ministro.

di Davide Giacalone - 06 maggio 2013

A Stefano Fassina il governo Letta non va giù. Ora che c’è montato su il conflitto fra sistemazione e distruzione, fra vergogna e soddisfazione, gli crea fenomeni di dissociazione. Non che la cosa sia così intrigante, ma osservarla meglio serve a capire lo stato d’animo di certa sinistra, nel quale si riflette attonito un pezzo del Paese, da una parte e dall’altra allevato all’identità per contrapposizione e, da una parte e dall’altra, spersonalizzato dall’alleanza.

Fassina ha attraversato tre stadi. Dapprima, subito dopo le elezioni di febbraio, ha preso parte al gruppo di autocoscienza titolato: non vogliamo crederci e faremo finta di non saperlo. Quello, in pratica, che è riuscito ad affondare il tentativo di Pier Luigi Bersani, convincendolo a puntare tutte le sue carte sull’accordo ortottero. Fassina era frinente, in quella stagione, e ripeteva ossessivamente che non era vero quel che a noi sembrava lampante: o si fa un governo che veda convergere il voti di Pd e Pdl, oppure non se ne fa nessuno e si torna a votare (lo sosteneva anche Andrea Orlando, come altri poi onorati d’uniformarsi al più blasonata scuola democristiana: ministri di quel che non sanno).

Dopo avere affondato la candidatura Marini e suicidato quella di Prodi, con il ritorno di Napolitano al Colle e l’incarico a Letta, Fassina è entrano nel secondo stadio: già l’accordo con quei filibustieri berlusconiani è disgustoso, ma visto che non mi danno manco un posto da ministro, quella roba non deve nascere, o deve cadere. La cosa è durata pochi giorni, nel corso dei quali tanto furono testoni i pdiellini a pensare che la cancellazione dell’Imu fosse evento salvifico, tanto lo fu il nostro eroe, disposto a difendere un’imposta ch’è un’impostura, pur di dar sulla voce agli odiati avversari. Poi è arrivata la nomina a viceministro, coincidente con la nomina a sottosegretari di soggetti di cui, in effetti, prova imbarazzo anche un disilluso navigante di lungo corso, come il vostro devoto scrivano, figuriamoci lui, cui tocca pure di chiamarli “colleghi”. Quindi ha aperto il terzo stadio: sì, sono governativizzato in base al un cencellismo senza più manuale, sì, fui aduso ad ogni esperienza, ma mi rivergino dicendo una cosa strepitosa e sensazionale: quello lì (e non sto a specificare a chi mi riferisco) non deve presiedere la Convenzione.

Ora, gentile Fassina, capisco che uno si sacrifica a girare con lo zainetto per sentirsi ggiovane e gli tocca fare il popolano dopo esser stato bocconiano, ma abbia pazienza: che sta a di’? Si è accorto di chi è il suo collega ministro delle riforme costituzionali? Quella nomina ha un significato: tocca al Pdl impostarle e guidarle, ovviamente costruendo il consenso. Sicché quel che lei vuol impedire è già accaduto. E lei ne fa parte. Ma, suvvia, non prendiamoci per le chiappe: le riforme non si faranno. Ha ragione Massimo D’Alema (che suppongo lei consideri inciucista, sebbene egli sia fuori e lei sia dentro): o ci dedichiamo subito alla legge elettorale o meniamo il can per l’aia. Difatti lui va in giro con il cane.

La Convenzione, animale misto composto di parlamentari e non, i cui risultati dovrebbero essere poi votati, ma anche spacchettati e sottoposti a diversi referendum, mi parve un mostro quando la descrissero i saggi (ah, dimenticavo, sa che fra i saggi c’era l’attuale suo collega, preposto al tema?). Ma se proprio vogliamo supporre che quello sia uno strumento utilizzabile, se proprio vogliamo credere che da lì possano arrivare riforme, ne deriverebbe che, sia per il tempo necessario, quindi la conseguente stabilità governativa, sia per il grado di consenso indispensabile, c’è un solo candidato praticabile: Berlusconi. No, non mi svenga, tanto non si farà. Neanche Matteo Renzi lo vuole, perché neanche lui vuole che Letta vada troppo lontano nel tempo. Ma stia certo che se il gattone convenzionale dovesse prendere forma avrà cura d’andarsi a strusciare alle gambe di colui il quale le fa venire l’orticaria. A quel punto lei entrerà nel quarto stadio e darà indignato le dimissioni. Facciamo così, guadagniamo tempo: si dimetta subito, che è anche già arrivato il caldo.

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