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Il referendum in Veneto

Eurosecessione

Le elezioni europee e la linea economica del governo.

di Enrico Cisnetto - 24 marzo 2014

Non c’è bisogno di essere favorevoli alla secessione – io sono contrario a quella veneta come di qualunque altra parte d’Italia – e di scomodare l’autodeterminazione dei popoli, per capire che il successo riscosso dalla consultazione svoltasi in Veneto (eviterei di chiamarla referendum, che presuppone legittimità e controllo) va preso sul serio. Come segnale, intendo. Spia di qualcosa che, credo, gli italiani diranno con veemenza alle ormai prossime elezioni europee. E non sarà qualcosa di piacevole. Il fatto è che cresce in modo esponenziale il numero di coloro che vedono nell’Europa non più un’opportunità ma un vincolo crescente. E, purtroppo, è un pensiero che è entrato non soltanto nella nostra testa, ma, e forse con ancora maggiore intensità, in quella di quasi tutti gli altri cittadini europei. Di quelli che stanno più male, e che attribuiscono la crisi alle “politiche cattive” imposte dai più forti, a cominciare dall’eccessivo valore di cambio della moneta unica. E di quelli che stanno bene, o anche solo meglio, che si sentono formiche e temono di essere zavorrati dalle cicale. Infatti, ovunque crescono le formazioni politiche anti-euro e nelle urne il solo tema europeo in discussione sarà l’antieuropeismo. Tutti i grandi partiti continentali diranno tutti che ci vuole l’Europa, anzi più Europa, ma tutti aggiungeranno che dovrà essere diversa da quella attuale. Senza dire quale. Facendo una clamorosa cortesia agli anti-euro.

Ecco perché l’urlo secessionista veneto non va sottovalutato. Perché in questo clima le pulsioni centrifughe di decine di regioni europee rischiano di trovare sbocco non solo in un autarchico ritorno alle monete nazionali – che sancirebbe la fine dell’Europa in quanto tale, e non solo del disegno d’integrazione – ma anche in una spinta alla disgregazione localistica. Proprio quando, invece, la globalizzazione richiederebbe grandi dimensioni, e il pericoloso ritorno al clima della guerra fredda per via delle ambizioni egemoniche di Putin, pretenderebbe che l’Ue fosse finalmente dotata di una politica estera unitaria.

In questo quadro, l’Italia di Renzi deve decidere cosa fare. La linea della morbidezza nei colloqui con i partner e della sfida nella comunicazione rivolta all’opinione pubblica nazionale, può servire per gestire le elezioni europee, ma non è una strategia. Giocare a ignorare che il Trattato di Maastricht è stato integrato dal Six Pack, il nuovo patto di stabilità, e dal Fiscal Compact, con il pareggio in Costituzione che l’Italia ha approvato, e che di conseguenza occorre produrre ogni anno un calo del disavanzo e anche del debito (dal 2016) per cui occorre scovare una cinquantina di miliardi, non esime dagli obblighi. E se può servire (forse) a battere Grillo in versione anti-euro, alla signora Merkel, che ha il problema di arginare la crescita di Alternative für Deutschland, occorrono argomentazioni opposte. E tra i suoi problemi elettorali e quelli di Renzi, non è difficile immaginare cosa scelga. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.