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Cipro sull'orlo del crack

Eurodisastro

Il pasticcio di Cipro dimostra il cagionevole stato di salute del sistema europeo. E se l'Italia...

di Enrico Cisnetto - 22 marzo 2013

Ha ragione Allen Sinai: è una follia. Non può essere definita altrimenti da come l’ha fatto l’economista americano, la posizione assunta dalla Ue sulla questione Cipro. Per un cieco e malriposto moralismo finanziario, quella stessa Europa che ha concesso 240 miliardi alla Grecia senza risollevarne l’economia, anzi contribuendo ad affondarla maggiormente, ora per una decina malcontata di miliardi che servirebbero a salvare il sistema bancario di Nicosia, riesce nel meraviglioso doppio colpo di mettere in discussione uno dei principi cardine del mercato, l’inviolabilità dei depositi bancari, e nello stesso tempo di indurre una gigantesca fuga di capitali da Spagna e Italia, inevitabilmente indiziate di poter essere le prossime destinatarie di un diktat simile a quello recapitato – e per fortuna respinto – a Cipro.

Cose, queste, che tornano a sottolineare il cagionevole stato di salute dell’eurosistema, proprio in un fase in cui alcune elezioni nazionali – quelle italiane che hanno prodotto ingovernabilità e quelle tedesche che, avvicinandosi, inducono i politici a vellicare i bassi istinti degli elettori – rischiano di contribuire a farne esplodere tutte le contraddizioni. E che espongono l’eurosistema stesso al doppio pericolo del ruolo della Bce: perché se rinuncia a intervenire si autocondanna alla marginalità – dopo aver conquistato un ruolo centrale con la creazione del “salva-Stati” – mentre se corre in soccorso delle banche cipriote produce definitivamente un’Europa a due teste che parlano linguaggi diversi e, di fatto, sono in conflitto tra loro. Non male, come disastro.

Naturalmente, nessuno può dimenticare che Cipro era un paese offshore piazzato (a forza, e di questo qualcuno dovrà portare responsabilità) dentro l’Europa e che i tedeschi hanno ragione nel chiedere che certe pratiche finiscano (così come avevano ragione a lamentarsi del fatto che la Grecia truccava i bilancio pubblici). Ma intanto va ricordato che tale era anche nel 2007 quando gli furono spalancate le porte (forse proprio perché era offshore e faceva comodo). E poi va detto che colpire anche i piccoli depositi bancari, dei ciprioti stessi e dei piccoli borghesi russi con l’appartamento per le ferie sulle spiagge dell’isola, significa lanciare un messaggio a chi ha orecchie: in Europa, le garanzie di legge offerte dagli Stati a protezione dei depositi bancari fino a 100 mila euro non valgono nulla, perché questi paesi hanno perso la sovranità di stampare moneta e di fare deficit. Cosa anche inevitabile, quando si è deciso di mettere a tutti nelle tasche un’unica moneta, ma che non può assolutamente significare che a raccogliere quella sovranità sia Berlino – ma varrebbe per qualunque altra capitale – e non un soggetto comunitario eletto democraticamente dai cittadini. Con questa mossa dell’Eurogruppo si è aperto un precedente – cui nessuno si è opposto, francesi, spagnoli, né tantomeno noi – che non è difficile immaginare dove possa arrivare. Se poi si aggiunge il fatto che, come nel caso della Grecia, sono le banche tedesche quelle più esposte, e lo sono perché più delle altre hanno speculato, allora il tutto diventa intollerabile.

Come andrà a finire? Per fortuna il governo cipriota ha mostrato di avere gli attributi. Bene, anche perché ieri il governo tedesco ha fatto sapere di essere pronto ad esaminare una controproposta cipriota. Ma non basta, perché ora la palla è tornata all’Eurogruppo, dove finora la linea Schauble – questa volta d’intesa con la Lagarde (forse perché indebolita da un inchiesta giudiziaria in Francia?) – ha prevalso. E non so se anche in questa circostanza Draghi avrà la forza e lo spazio per spingere la Bce su una posizione controcorrente (finora alla Merkel ha fatto comodo, ora con le elezioni che s’avvicinano potrebbe toglierglieli la copertura fin qui gli ha dato).

In tutto questo va sottolineato il silenzio cui Roma è costretta. Noi siamo con la Spagna il paese che più di ogni altro può subire il contagio – anche se, per fortuna, finora lo spread non si è mosso – ma la situazione post-elezioni non ci consente di avere un governo in grado di dire la propria. E siccome non è detto che questo gap venga colmato – sia in tempi brevi che in via stabile – preoccupa che mentre i capitali tornano a varcare i confini nessuno si preoccupi di fare una dichiarazione, tra le tante inutili e rituali, su questa vicenda. Ora, come dice Sinai, ci mancherebbe solo “l’autogol di un governo che consideri seriamente l’uscita dell’Italia dall’euro per condannarvi”. Sì, ha proprio ragione.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.