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Il ruolo della Grecia

Euro-colonnelli

L'Europa non può aspettare la decisione degli elettori francesi e tedeschi nè escludere la Grecia

di Davide Giacalone - 07 febbraio 2012

In Grecia si misura l’inadeguatezza delle scelte europee. Alla Grecia non abbiamo mai smesso di guardare, perché convinti che non sia saggia né la scelta di spingerli fuori dall’euro, né quella d’imporre condizioni per rispettare le quali occorre una rinuncia alla sovranità e una manomissione della democrazia. Lo abbiamo scritto fin dall’inizio: non sono i bilanci farlocchi o i debiti eccessivi ad avere messo in crisi l’euro, è l’inadeguatezza istituzionale dell’euro ad avere propiziato una crisi gigantesca. Fermo restando che i bilanci pubblici (anche il nostro) devono essere ispirati a più seri principi, non ci sono riforme o tagli nazionali che possano fermare una speculazione che punta dritto sulla moneta unica.

Abbiamo le carte in regola: quando lo spread schizzava in alto non lo consideravamo un indice della nostra salute, ma della malattia dell’euro (lo scrivevamo e non abbiamo cambiato idea, a differenza di chi taceva e ora ci gira attorno), quando lo abbiamo visto scendere non ne abbiamo dedotto che siano risolti i nostri problemi. Affatto. La Grecia è rivelatrice di un punto essenziale: l’idea tedesca, cui s’è allineata la Francia e cui s’è prestata l’Italia, secondo cui si può governare la crisi senza modificare strutturalmente le istituzioni alle spalle della moneta unica, senza federalizzare i debiti sovrani (ovviamente tenendo conto della loro origine e, quindi, ripartendone il peso), ma guadagnando tempo, lasciando agire la Banca centrale europea e puntando sulle regole del rigore è destinata a fallire perché quel tempo non c’è. L’Unione europea non farà un solo passo in avanti né aspettando che a decidere per tutti siano gli elettori francesi e tedeschi, né pensando di togliere il diritto di parola a quelli greci. E’ un approccio radicalmente sbagliato, perché umilia il nostro collettivo punto di forza: essere federazione di stati sovrani e democratici.

Da un paio di settimane ascolto e leggo opinioni bislacche. Si ripete che i tassi a breve, sui titoli del nostro debito pubblico, sono scesi grazie alle coraggiose scelte del governo, mentre quelli a medio e lungo restano elevati essendo ancora imprevedibile il futuro politico del nostro Paese. Tesi un tantinello meschina, che si regge solo sul profondo provincialismo di una classe politica (e giornalistica) culturalmente inadeguata. I tassi a breve sono scesi perché la Bce ha finanziato, per il tramite delle banche, i debiti sovrani. Quelli a medio e lungo restano altissimi perché nessuno crede che quel sistema possa durare nel tempo. Nell’immediato, intanto, si consente ai tedeschi di finanziarsi senza pagare interessi, quindi aumentando gli squilibri interni all’Unione monetaria. Non può reggere. Ad Atene il governo ha trattato con una troika, composta da Ue, Bce e Fondo monetario internazionale. Perché l’Unione possa restare tale due di quei soggetti sono di troppo: la Bce e il Fmi. Mi spiego: la California tratta il suo debito (ed ha avuto problemi notevoli) con lo Stato federale, non con la Federal reserve (se tratta con la Fed è perché quella è Banca federale), e se lo Stato e la Banca si facessero accompagnare da un Fondo internazionale sarebbe come ammettere che è in crisi lo Stato o che la federazione già non c’è più. Se Atene non cede alle condizioni poste dalla troika si ritrova in bancarotta, con ciò stesso creando una falla nell’euro.

Se le accetta si salva l’unità dell’euro, si mettono in (relativa) sicurezza le banche dell’Unione, ma si toglie sovranità alla democrazia di quel Paese. L’Italia trattò, in passato, con il Fmi, avendone accettato i prestiti, e potrebbe trovarsi costretta a farlo in futuro, ma restando sovrana nella democrazia perché sovrana nella moneta. Con l’euro si perdono entrambe le sovranità, ed è troppo. La crisi dell’euro, se non risolta, porta ad una crisi delle sovranità, i cui esiti possono essere assai pericolosi. I prossimi colonnelli, ad Atene, eserciteranno la forza non verso i greci che dissentono, ma verso gli europei che negano loro questo diritto. Sicché sia l’uscita che la permanenza di quel Paese nell’euro potrebbero divenire precedenti inquietanti, anche per noi. Sono queste le ragioni per cui indispettisce un nostro dibattito interno tutto autoreferenziale, laddove un Paese fondatore della Comunità avrebbe non solo il diritto, ma il dovere di ragionare in termini continentali. Per difendere i propri legittimi interessi, ma non solo quelli.

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