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Chi si muove e come sul mercato continentale

Enel-Endesa e il risiko europeo

Se inglesi e olandesi usano due pesi e due misure bisogna imitarli

di Enrico Cisnetto - 02 marzo 2007

Ci risiamo. A proposito dell’operazione Enel-Endesa, l’opposizione di centrodestra spagnola parla, con toni di condanna, di “asse politico Roma-Madrid”, mentre le “guardie anglofone” della purezza del mercato, il Financial Times e il Wall Street Journal, ristampano per l’ennesima volta i soliti corsivi esecratori sulla politica (cosa notoriamente sporca) che s’impiccia dei grandi affari. Nello stesso tempo, a casa nostra si discute di come andrebbe cambiata la legge Draghi in funzione della direttiva europea sull’opa, che lasciando liberi i paesi membri di adottare o meno le norme “anti-scalata” ci mette nella condizione di dover scegliere tra una linea di prudenza – che Francia e Germania hanno già fatto propria, seguite ora da Olanda (per paura che uno straniero scali Abn-Amro) e Spagna (proprio per Endesa, sotto opa della tedesca E.On) – e una linea “aperturista”, sostenuta dai soloni alla Bragantini. Sarà un caso, ma la regola del tetto di voto al 10% del capitale la stanno adottando proprio coloro che, quando erano cacciatori e non prede come ora, sostenevano si trattasse di “leso mercato”.

Endesa, per esempio, ha già piantato questo paletto, e l’intervento di Enel è evidentemente finalizzato a far maggioranza con il gruppo Acciona, socio numero uno del gigante energetico iberico, per evitare che quelli di E.On facciano passare in assemblea una modifica anti-tetto dello statuto. Ma la cosa più clamorosa sta succedendo in Olanda, dove il governatore della Nederlandsche Bank, Nout Wellink, ha scoperto che esiste il tetto del 10% e ha sbandierato ai quattro venti che intende farlo rispettare a hedge funds e private equity – cioè investitori non concorrenziali che non pongono problemi di controllo e di governance – perchè minaccerebbero la stabilità del sistema bancario arancione. Si tratta, per capirci, dello stesso banchiere centrale che negli anni scorsi ha fatto il diavolo a quattro in sede Bce per far decadere i vincoli di discrezionalità della Banca d’Italia – casualmente quando Abn-Amro muoveva alla conquista di Antonveneta e aveva in animo di farlo con Capitalia – e che una volta fece persino partecipare, con una irrituale relazione sui temi delle operazioni bancarie transfrontaliere, i vertici della stessa Abn-Amro e di altre due banche commerciali ad una riunione dell’Ecofin approfittando del semestre olandese della presidenza Ue.

Ma per capire come in Europa si usino due pesi e due misure a seconda delle circostanze, basterebbe osservare cosa succede in Inghilterra, sempre indicata come modello da copiare quando si parla di mercati liberi dalle ingerenze. Quando il Nasdaq ha organizzato una scalata allo Stock Exchange di Londra, nella City è scattata una difesa strenua della propria Borsa, tanto che l’opa lanciata da New York è fallita miseramente. Una difesa sacrosanta, perchè a suo tempo il governo di Margaret Thatcher (la politica, signori liberisti) scelse di abbandonare il manifatturiero per puntare tutto sui servizi, considerando quindi il mercato finanziario assolutamente strategico, e di conseguenza gli inglesi si sentono legittimati a usare gli stessi metodi protezionistici che esecrano al di fuori dei loro confini. D’altra parte, è significativo che sia sceso in campo nientemeno che sir John Rose, storico ceo della Rolls-Royce, per dichiarare che l’apertura incondizionata dell’economia rischia di trasformare il Regno Unito “in una portaerei per gruppi stranieri che poi prenderanno decisioni in base a interessi lontani dai nostri”.

Tornando allo sbarco dell’Enel in terra spagnola, vanno dette due cose. La prima è un plauso al management del gruppo italiano che ha colto l’occasione giusta non solo per diventare determinante in Endesa, ma per fermare l’espansione tedesca che proprio attraverso la società iberica intendeva puntare sull’Italia, dove Endesa è già significativamente presente. La seconda è il rammarico per il fatto che il governo italiano sia arrivato tardi e male a stabilire un informale patto di reciprocità con Madrid. Che lo abbia fatto non c’è dubbio – come dimostra il recentissimo ingresso di Vittorio Merloni, notoriamente vicino a Prodi, nel board di Endesa Italia – ma che fosse stato meglio pensarci prima del vertice di Ibiza altrettanto, visto che nel frattempo abbiamo massacrato l’operazione Autostrade-Abertis – per fortuna recuperabile, come mostra la mossa di Caixa – sacrificato il tentativo del gruppo Caltagirone su Metrovacesa e messo preventivamente in pericolo l’ingresso di Telefonica in Olimpia-Telecom. In tutti i casi, meglio tardi che mai.

Pubblicato sul Foglio di Venerdi 2 marzo

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