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L'arma delle sentenze

Elettroshock giudiziario

Sbagliata la manifestazione Pdl sulla giustizia. Ma è con altrettanta forza che va condannata una sinistra giuridicamente incivile, che torna a brandire l’arma giudiziaria per un tribale regolamento dei conti.

di Davide Giacalone - 08 marzo 2013

Il cortocircuito fra giustizia e politica fulmina nuovamente l’Italia, in un momento delicatissimo. Gli irresponsabili lavorano ad aumentare il voltaggio delle scariche. Quanti conservano senso di responsabilità si adoperino per tagliare i fili. I fatti delle ultime ore sono inquietanti, capaci di sottoporre il Paese ad un elettroshock letale. La notizia che qualcuno sia condannato per violazione del segreto istruttorio sarebbe da festeggiare. Era ora, dopo anni di verbali che finiscono prima ai giornali e poi in cancelleria, dopo centinaia d’intercettazioni sbobinate a favore di telecamera. Ma il condannato non è un magistrato o un inquirente infedele, bensì il presidente del Consiglio che fu raggiunto da avviso di garanzia spiccato mediante il Corriere della Sera, quello sommerso da procedimenti rivelatisi farlocchi. Stiamo tutti attenti, perché il gioco è pericoloso. Non dico nulla su questa condanna di primo grado, perché da garantista so due cose: a. la presunzione d’innocenza è intaccata solo dalla condanna definitiva; b. dalle accuse penali ci si difende in giudizio. Ma l’amore per il diritto non m’impedisce certo di valutarne il suo uso distorto: l’indagine per voto di scambio, innescata dalla promessa di rimborsare l’Imu sulla prima casa, non è un atto giudiziario, è un atto politico dal sapore insurrezionale e golpistico.

Nelle stesse ore arriva il rinvio a giudizio di vari imputati, relativamente alla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. Ce ne siamo lungamente e dettagliatamente occupati. Fra i rinviati non c’è neanche uno dei nomi che considero politicamente responsabili (non mi occupo di responsabilità penale) di quella stagione. Stiamo tutti attenti, perché la continua, reiterata e violenta corruzione della storia nazionale genera mostri. Che da tempo si vedono e che da ultimo giganteggiano.

Intanto un non indagato si suicida, a Siena. Storia triste, naturalmente. Ma non può non colpire la riservatezza e la calma con cui procede quell’inchiesta, per presunti reati che, riguardando il Monte dei Paschi di Siena, non può non coinvolgere la Fondazione che ne nominava la quasi totalità degli amministratori (14 su 16), a sua volta dominata dal Partito democratico. Non può non colpire come in altri suicidi si sia cercata la responsabilità del morto, mentre qui si cerca quella delle circostanze che lo avrebbero spinto al gesto estremo. E, sempre in tema di suicidi, colpisce il fatto che l’assassino suicida di Perugia sia stato descritto come pazzo, cancellando le sue parole: sono stato rovinato dalla politica, qui monopolizzata dal Pd.

E mi domando dove siano i cantori del latinorum troglodita, i maniaci delle leggi ad personam, allorquando il decreto legge sedicente anti-corruzione, che noi avevamo motivatamente avversato, consegna i suoi previsti effetti e proscioglie per prescrizione un parlamentare del Pd. Cosa si sarebbe detto e scritto, se diverso fosse stato il colore dei votanti e dei beneficiati? Quando il Pdl ha annunciato una manifestazione di piazza, per protesta contro la giustizia politicizzata, ho scritto che si tratta di un grave errore, destinato a complicare le cose. Piuttosto si pentano delle tante occasioni perse, per restituire giustizia all’Italia. Il Pdl ha corretto il tiro. Resto dell’opinione che non si convocano manifestazioni nel mentre devono aprirsi le consultazioni al Quirinale. Ma è con altrettanta forza che va condannata una sinistra giuridicamente incivile, che torna a brandire l’arma giudiziaria per un tribale regolamento dei conti. Non è solo abominevole, è anche autolesionista, perché l’inchiesta Mps deve ancora secernere i suoi veleni.

Calma, allora, e le persone ragionevoli si facciano sentire. Ricordando che una parola a difesa dell’avversario ne vale dieci a difesa di sé. A tal proposito, non va taciuta una bruttura della direzione Pd, ritrovatasi compatta nello spingere il Paese verso lo sfracello del: o con Grillo o alle urne. Tesi ribadita da un traumatizzato e traumatizzante Bersani. Dovendo giustificare la tesi, logicamente ardita, di chi apre al Pdl, ma a patto che Berlusconi si autoelimini, Massimo D’Alema ha citato il caso del senatore De Gregorio. Come si può dialogare con chi usa tutti i mezzi pur di far cambiare fronte a un parlamentare? D’Alema è uomo intelligente, converrà che siamo alle accuse da questurini. Ma non è questo il punto. Certo che quel senatore è stato indotto al trasloco, ma, secondo D’Alema, che conosce la vita politica, perché Monti s’è inflitto lo sfregio di un’alleanza con Fini? Affinità elettive, o debito da onorare? Giù l’arma giudiziaria. O finisce male.

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