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Non è sufficiente detassare gli straordinari

Economia, serve una partenza sprint

Contrattazione dei salari e completamento della Biagi per un reale rilancio della competitività

di Enrico Cisnetto - 21 maggio 2008

Il governo esordisce con la detassazione degli straordinari. Mentre Napoli brucia e per l’economia il termometro segna crescita zero, come dimostra il disastroso crollo del fatturato e degli ordinativi dell’industria (a marzo -4,3% e 3,7%, il peggior calo dal 2004), il Berlusconi IV parte da questa misura, presentata ieri alle parti sociali, che intende restituire competitività al Paese. Una mossa positiva, ma non sufficiente per una partenza che dovrebbe essere più che mai sprint. Certo, il ministro Tremonti dice che “è solo l’inizio” e garantisce che l’azione dell’esecutivo sarà “organica e progressiva, non episodica”. E la sua rassicurazione circa l’impegno di azzerare il deficit entro il 2011 come da accordi in sede Ue (costo 20-30 miliardi), così come l’intenzione di anticipare la Finanziaria facendola di fatto coincidere con il Dpef, sono elementi di sicura garanzia. Tuttavia, ci si aspetta di più.

Prendiamo la decisione di istituire un’aliquota secca del 10% per tutte le parti variabili del salario legate alla produttività, con un “tetto” di 3mila euro per gli importi complessivamente soggetti a detassazione per i lavoratori con un reddito lordo 2007 fino a 35mila euro. Il piano s’ispira ad un principio sacrosanto: sottrarre alla progressività del prelievo fiscale le componenti della busta paga dovute agli straordinari, ai risultati e alla produttività. Si tratta, insomma, di un provvedimento più che positivo. Ma che, tuttavia, non basta. Infatti, fino a quando non si metterà mano all’intero sistema della contrattazione nazionale, con il completamento della legge Biagi e la revisione dei contratti nazionali a favore di una flessibilità che consenta adeguamenti al costo della vita nelle diverse aree del Paese, non si faranno molti passi in avanti sulla reale competitività.

Del resto il momento per osare è propizio. I sindacati sembrano aver finalmente imboccato la via della modernità: il voto “bulgaro” sulla bozza di riforma contrattuale voluta da Guglielmo Epifani (103 voti su 135) segna infatti l’ingresso della Cgil nell’era della modernità. Si tratta di un sommovimento tellurico all’interno del mondo sindacale, che da una parte sposta la barra sulla strada della contemporaneità, e dall’altra genera al suo interno un profondo scollamento. Mi riferisco al distacco della Fiom di Rinaldini, che votando contro la bozza di riforma unitaria segnala una profonda scissione, quasi una nascita di un “quarto sindacato nazionale”, intenzionato al muro contro muro. Uno scollamento più profondo di quello che appare, e dai significati più ampi: l’uscita allo scoperto di Rinaldini segnala, infatti, che il suo è un atto pubblico che mette a nudo controversie finora sotterranee nella linea politica, che ormai da più di un anno dividono la strada dei metalmeccanici da quella dei sindacati nazionali. E che vedono la Fiom sulle barricate ogni volta che la Cgil ha dimostrato di andare verso anche solo una timida apertura nei confronti delle istanze di Cisl e Uil. Ma è anche una scissione che corre parallela a quella della sinistra politica, con il Pd riformista ormai “distinto e distante” dalla sinistra massimalista, che ancora si deve riprendere dall’incubo elettorale e dalla mancata rappresentanza in Parlamento.

Insomma, da parte sindacale qualcosa (molto, anzi) si sta muovendo. Da parte del Governo, ben venga la detassazione degli straordinari. Altri segnali positivi arrivano da Palazzo Chigi: anche l’idea di Sacconi di una compartecipazione dei lavoratori ai profitti di impresa è un ulteriore segno di distensione e di modernità. Tuttavia, Berlusconi e Tremonti dovrebbero avere il coraggio di osare di più. Si rimetta quindi mano alla contrattazione nazionale, si completi la Biagi, si passi alla diversificazione di salari e stipendi in base al costo della vita (evitando magari di parlare di gabbie salariali, che non aiuta). Aspettiamo speranzosi. Consapevoli, però, che la riforma dei contratti è uno di quei passaggi cruciali che si possono fare solo con la spinta propulsiva dell’inizio legislatura.

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