ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Archivio » 
  • Economia in crisi e politica in panne

Avviso ai parlamentari

Economia in crisi e politica in panne

Le previsioni peggiorano e senza un esecutivo forte i mercati potrebbero decidere di attaccare

di Enrico Cisnetto - 18 marzo 2013

Chissà se i neo deputati e senatori che hanno avviato una legislatura che si preannuncia tanto breve quanto inutile per bloccare il declino nazionale, hanno contezza delle ultime stime che riguardano l’economia italiana. Nel caso che no, proviamo a metterle in fila, partendo da quella ufficiale del governo che continua ad essere di un modesto -0,2% nonostante che l’Istat abbia detto che abbiamo già acquisito un -1%, riducibile solo se nella seconda parte dell’anno ci fosse una vivace ripresa che inguaribili ottimisti possono mettere in conto. E quel nuovo punto di recessione è infatti quanto Ue, Fmi, Ocse e Bankitalia prevedono che arretri il nostro pil a fine anno. Solo l’Abi concede uno sconto, stimando un -0,6%.

Al contrario, Confindustria e Prometeia vanno oltre, rispettivamente di uno e due decimi di punto. Ma la media degli istituti di ricerca europei arriva a un -1,5%, che sale a -1,7% per la banca d’investimento Morgan Stanley per toccare -1,8% (qualcosa come nove volte peggio della stima del governo) nell’ultima previsione di Fitch, l’agenzia di rating che ha appena declassato il nostro debito pubblico. Ma la banca americana assegna un 30% di probabilità che in Italia prevalga una “paralisi politica durevole”, in quel caso il calo del pil potrebbe arrivare anche al 3%. Insomma, bene che vada nel 2013 aggiungeremo un altro punto ai sette e mezzo persi dal 2008 al 2012 (al netto della ripresina del biennio 2010-11), facendo diventare la nostra recessione endemica (4 anni degli ultimi sei). Dovrebbe esserci materia più che sufficiente per riflettere sulle responsabilità che la politica dovrebbe assumersi. Ma se non basta, si confronti il nostro andamento con quello degli altri grandi player mondiali.

Partiamo dall’Europa. La Bce, rivedendo al ribasso precedenti stime, usa una forchetta larga per l’eurozona: tra -0,9% e -0,1%. Morgan Stanley sta nella parte bassa di quella forchetta (-0,7%), mentre Fitch è a metà (-0,5%). Inoltre, pur non espresso in numeri, si registra un pessimismo del Fondo Monetario, per il quale Eurolandia è ancora troppo debole, e un ottimismo dell’Ocse, che vede il Vecchio Continente già avviato alla ripresa. Come si vede, il quadro è grigio se non nero, ma con dimensioni diverse dalle nostre, anche perché tutti si ritrovano concordi nell’indicare l’Italia come il fanalino di coda del convoglio europeo. Scarto che diventa abissale se si guarda agli Usa, accreditati di una crescita tra l’1,9% e il 2,5%, e all’economia mondiale, che per quest’anno dovrebbe crescere intorno al 2,2%.

Se poi questo piccolo memorandum non basta, allora richiamo l’attenzione dei signori parlamentari su una questione cui nessuno ha badato, in questi giorni di concitazione politica: la riduzione, fino quasi ad annullarsi, dello scarto tra lo spread italiano e quello spagnolo nei confronti della Germania. Se si guardano i numeri dell’economia, non ce ne sarebbe ragione: negli ultimi due anni il nostro debito pubblico è sì cresciuto, ma assai meno del loro (da 119% a 130% del pil il nostro, da 61% a 86% il loro); il deficit iberico è fuori controllo (9,9%) mentre il nostro è sotto il parametro del 3%; gli spagnoli sono indebitati il doppio degli italiani, e in più noi abbiamo un patrimonio largamente superiore e nessuna bolla immobiliare esplosa. Ma la Spagna ha un governo e l’Italia no. E ai mercati la cosa non sfugge.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.