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Public Policy

Ritorna l'Italia "anti"

E' finita la fiducia

Colpa della politica poco credibile e dell'economia sempre ferma

di Enrico Cisnetto - 27 giugno 2011

E’ finita la fiducia, l’economia italiana si ferma. La perdita di credibilità della politica, che è tornata a generare un sentimento “anti” come nel periodo di Tangentopoli. Il progressivo affievolirsi dell’autorevolezza delle istituzioni. Il prevalere del “non governo”, che blocca ogni scelta di politica industriale, energetica, infrastrutturale. Il permanere della crisi finanziaria, sia dal lato delle cause non rimosse – gli eccessi speculativi e le distorsioni che negli anni scorsi hanno fatto scoppiare la “grande bolla” – sia da quello delle conseguenze, come la montagna di debito pubblico, accumulata, l’affanno delle banche, la scarsa liquidità del sistema economico. Tutto questo, e molto altro, concorre a formare la condizione, psicologica prima ancora che pratica, dell’ex Belpaese che Mario Draghi si accinge a lasciare per andare al vertice della Bce, grazie ad una nomina che è l’unico vero riconoscimento strappato ai consoci del club della moneta, e anche l’unica buona notizia cui gli italiani possono appellarsi per tentare di migliorare il loro “sentiment” verso presente e futuro. Umore che ormai da troppo tempo è a dir poco “nero”.

Chiunque abbia a che fare con il sistema economico lo sa: non circola il denaro, si pagano tardi o addirittura non si onorano le fatture, non si versano Iva e contributi, si taglia ogni tipo di spesa, non si fanno investimenti strutturali. E nella gran parte dei casi la causa è psicologica: manca la fiducia. La fiducia nel cliente, nel fornitore, negli stakeholder, specularmente nel datore di lavoro e nei lavoratori. Si è rotta una catena, si è interrotto un ciclo virtuoso. E tutto questo è insieme causa e conseguenza dell’abulia di un’economia che tende più alla stagnazione che allo sviluppo. Certo, ci sono state e continuano ad esserci molte imprese e molte attività terziarie che hanno sofferto della recessione, o che la globalizzazione ha spazzato o sta spazzando via. Ma è altrettanto vero che molte altre attività economiche sono riuscite a compiere un positivo turnaround – con innovazione di processo e di prodotto, facendo spazio ai manager a discapito delle proprietà familiari, internazionalizzandosi – e che comunque in tante situazioni il patrimonio accumulato nel passato sopperisce alla scarsità di nuovo reddito. Eppure, come dimostrano i primi consuntivi del semestre e le previsioni più recenti, a cominciare da quelle di Confindustria, la curva di crescita del pil tende ad abbassarsi pericolosamente sotto l’1%, a testimonianza che il rallentamento non è solo percepito, ma reale. E se a questo si aggiungono i rumori sinistri che giungono dai mercati internazionali – lo spread tra i nostri Btp e quelli tedeschi a livelli record, le agenzie di rating che hanno nel mirino lo Stato sovrano e il sistema bancario – è chiaro che a tutti, nessuno escluso, tremano le gambe. Anche a quelli che stanno bene e vanno bene, ma a cui la prudenza suggerisce di rinviare consumi e investimenti.

E’ un’aria davvero mefitica quella che stiamo respirando, e se non cambia il clima l’effetto avvitamento su se stessi sarà inevitabile. Cambiamo partitura sulla scena della politica, prendiamo decisioni anche impopolari ma coraggiose, mettiamo benzina nel motore favorendo la circolazione del denaro. Diamo segnali alla speculazione e riavviamo il ciclo della fiducia. Prima che sia troppo tardi.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.