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Crisi.

E allora sia Monti bis

Trovare la convergenza. Perchè la prossima legislatura sia quella in cui deve nascere la Terza Repubblica. O così, o immaginare lo spread a mille sarà pure peccato, ma si rischia di azzeccarci.

di Enrico Cisnetto - 25 maggio 2012

Da un lato c’è la Grecia con un piede e mezzo fuori dall’euro, la cui uscita dall’eurosistema segnerebbe la fine dell’irreversibilità della moneta unica e aprirebbe una fase ancor più di complicata di quella attuale, non a caso contrassegnata da spread altissimi. E in questo quadro europeo carico di incognite, c’è l’economia italiana, che si avvia a perdere (come minimo) altri due punti di pil dopo i sei e mezzo persi nel 2008-2009, visto che ora anche l’export verso i paesi extra-Ue, unico fronte positivo fin qui, comincia a frenare. In recessione e senza serie prospettive di crescita, con il ceto medio-alto a pagare il prezzo più alto della crisi – negli ultimi anni oltre 100 mila dirigenti, pari al 21% del totale, sono rimasti disoccupati, e il numero degli imprenditori (intesi come coloro che gestiscono la propria impresa senza essere direttamente coinvolti nel processo produttivo) si è quasi dimezzato, passando da 402 mila a 232 mila unità – l’Italia vive una fase depressiva che rischia di sfociare in forme di esplosione sociale, di cui si vedono già i primi segnali. Dall’altro lato, c’è lo scenario politico nazionale, animato (si fa per dire) da soggetti che non paiono aver per nulla compreso la pericolosità del quadro europeo e la gravità della situazione italiana. I partiti sono talmente suonati da non aver assolutamente decrittato il messaggio che gli elettori hanno mandato loro con le amministrative. Il Pdl ammette la sconfitta (e volevo pure vedere) ma si dibatte tra regolamenti interni di conti e illusioni circa la possibilità di un recupero con qualche escamotage, tipo il cambio del nome e l’uso di qualche faccia di nuovo conio. E comunque crede, sbagliando, che sia stata la sua adesione al governo Monti a farlo cadere, per cui tende ad alzare il tono (senza alcuna autorevolezza e visione alternativa) sia verso l’esecutivo sia verso l’Europa (dalle cui labbra pendeva quando stava a palazzo Chigi) e persino verso l’euro. Vedrete che Berlusconi tornerà e farà della moneta unica e del rigore europeista il nuovo nemico, con questa sotterrando qualsiasi possibilità di consolidare l’esperienza Monti o comunque una qualche forma di superamento della contrapposizione bipolare. Il Pd, dal canto suo, crede di aver vinto le elezioni e si appresta ad andare incontro o alla riedizione della sconfitta di Occhetto o alla rimessa in scena del “non governo” di Prodi (sinistra massimalista, Idv e “nuovismo” variopinto sono più forti che nel 2006). Il ritorno di fiamma verso il sistema elettorale a doppio turno in salsa Hollande – senza però avere il coraggio di sposare l’intero impianto istituzionale francese, a cominciare dal semipresidenzialismo, senza il quale quel sistema di voto non avrebbe senso – e in subordine il mantenimento del porcellum (facile, basterà dire che gli altri partiti non hanno voluto la legge francese), stanno a testimoniare la volontà di Bersani di superare l’attuale forma di convivenza, sia pure forzata, tra partiti diversi. Insomma, mentre l’emergenza che aveva portato nel novembre scorso al governo Monti, come discontinuità dell’impraticabile Berlusconi ma anche dell’intera esperienza della Seconda Repubblica, non solo non è venuta meno, ma si è pure aggravata, la sindrome greca che ha colto i partiti dopo le elezioni amministrative – il cui esito, invece, avrebbe dovuto spingerli nella direzione opposta – li induce ad archiviare come parentesi, necessaria ma ormai finita, l’attuale esecutivo e con essa ogni ipotesi futura di “grande coalizione”. La quale, al contrario, appare più indispensabile che mai agli occhi di chi abbia un briciolo di cervello e guardi in faccia la realtà. Poi si può discutere se serva esattamente questo governo o altro: i risultati non particolarmente brillanti ottenuti fin qui e soprattutto la netta sensazione che non abbia più programma per il mesi che ci separano dalla fine della legislatura, autorizzano a pensare che il governo Monti si possa anche archiviare. Ma certo non autorizzano a credere che si possa e si debba tornare al vecchio bipolarismo. Anzi, il limite del cosiddetto “governo tecnico” è stato proprio quello di essere troppo terzo rispetto a forze politiche e gruppi parlamentari. Quindi, si può anche chiudere qui, in via anticipata, ma a condizione o che si faccia un Monti bis per questi ultimi mesi con alcuni esponenti dei partiti dentro – lo so, un rimpasto è a dir poco improbabile, ma non per questo l’idea è bacata – oppure che si vada ad una veloce campagna elettorale in cui chi andrà a richiedere il voto dell’Italia riformista e di quella moderata (insieme sono la netta maggioranza) s’impegni fin d’ora a immaginare un governo (politico) di convergenza per la legislatura in cui deve nascere la Terza Repubblica. O così, o immaginare lo spread a mille sarà pure peccato ma si rischia di azzeccarci.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.