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Qual è la vera riservatezza?

Due pesi e due misure

Redditi degli italiani e intercettazioni. Una doppia morale si nasconde sulla loro pubblicazione

di Davide Giacalone - 06 maggio 2008

Siamo proprio il Paese della doppia morale, dei due pesi e due misure, delle coscienze a corrente alternata. La cosa mi fa ancora impressione. Insomma, secondo quasi tutti le cose stanno così: i dati fiscali, pubblicizzati ufficialmente dall’Agenzia delle entrate, che ancora insiste nel sostenere di avere agito per il meglio, non si pubblicano, perché trattasi di riprovevole invasione delle vite private, di violazione della privacy, mentre i verbali d’interrogatorio e le intercettazioni, distribuiti da un’autorità giudiziaria che sempre nega di averlo fatto, non solo si pubblicano, ma da quella roba si parte per far la morale a tutti e ciascuno. I redditi dichiarati appartengono alla sfera della riservatezza, mentre le parole estorte o letteralmente rubate, anche se si riferiscono alla propria camera da letto, invece, è doveroso renderle di dominio pubblico. Va a finire che sarò grato a Visco per avere disvelato questo tripudio d’infingardaggine.

Sulla scelta dell’amministrazione fiscale ho già detto che non la condivido affatto, e ci tornerò per argomentare quanto essa sia falsante della realtà. Ma il vedere il rossore dello scandalo sulle gote dei tanti che hanno speso anni e pensiero nello spiegare che tutto deve essere noto al popolo, induce ad un tale sollazzo che la cosa è bene non sia taciuta. Abbiamo tutti saputo che un tale finanziere riteneva suo titolo di distinzione il giacere (non propriamente inattivo) quotidianamente con la sua signora. Ma questo non apparteneva alla sua riservatezza, e neanche a quella della citata. Era giusto che tutti sapessimo non trattarsi di matrimonio rato e non consumato. Non erano affari, e non solo affari, loro, il pubblico doveva sapere. Quel signore, del resto, non aveva il senso della misura ed aveva supposto di potere comprare a proprio piacimento delle azioni del Corriere della Sera, come se la società fosse quotata in Borsa e come se non si trattasse di un santuario intoccabile, di una tutela costituzionale a salvaguardia del pensiero giusto e corretto. Allora più di un commentatore e più di un giurista si spesero per manifestare il proprio scandalo. Non perché si fossero introdotti dei microfoni fra le lenzuola del presunto scalatore, bensì perché costui aveva immaginato possibile scalare. L’operazione finanziaria fu stroncata, ma non nell’unico modo lecito, ovvero con il patto di sindacato che mette mano al portafogli e vara un delisting (uscita dalla Borsa), o si consolida ed esclude che possano esserci soci che vendono, no, l’operazione fu affossata in procura. Che non solo costa meno, ma serve anche di lezione per chi pensi di riprovarci.

Ora gli stessi sono lì a dire: ma vi pare che in un Paese civile si pubblicano i redditi dei cittadini? Roba da terzo mondo. E la boccuccia sdegnata non riesce neanche ad avvertire che l’operazione pubblicità è avvenuta a cura del medesimo governo che la stampa “per bene” ha appoggiato e favorito, dalla campagna elettorale in poi. Neanche vogliono ricordare che mentre noi sostenevamo ci fossero dei gran trucchi nell’amministrazione finanziaria, loro erano lì ad applaudire al “tesoretto”, alla concertazione, alla severità. Ricordate la teoria: è arrivata gente seria e gli italiani hanno capito che si deve pagare. E’ la stessa gente che ha messo in rete i dati che a loro fanno tanto ribrezzo. Oltre tutto, devo dire, Visco è coerente con la sua idea di fisco, che a me non piace, ma chi lo ha sostenuto fino alla settimana scorsa la coerenza non sa neanche dove stia di casa. L’ipocrisia è una brutta cosa. Nell’italietta dei furbi può essere contrabbandata per scaltrezza, addirittura per acutezza e mobilità d’animo. In realtà è solo il sintomo epidermico di una deprecabile debolezza intellettuale e morale, che subordina il diritto ed i diritti alla convenienza ed alla faziosità. Non so come questa storia andrà a finire e, del resto, il danno è già fatto ed è irrimediabile, so, però, che per come è cominciata ha un altissimo valore istruttivo, utile a riconoscere la malattia da cui promana tanta parte del nostro declino. Ed utile anche a capire che l’Italia attende un cambiamento vero, per potere avere fiducia non in qualcuno, ma in se stessa.

Pubblicato su Libero di martedì 6 maggio

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