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Il vuoto della politica e l'assenza di valori

Dritta e manca

Quando i leader difettano di idee...

di Davide Giacalone - 19 novembre 2010

Pier Luigi Bersani e Gianfranco Fini non sono riusciti a svolgere decentemente un compitino (apparentemente) facile: definire i propri valori. A tutti e due è mancata la capacità di dire alcunché di significativo, limitandosi a sbandierare piccoli simboli, cari ricordi, blande suggestioni. Vivono nel passato. Tentano, dispertamente e inutilmente, di sostituire le ideologie (entrambe abbracciarono le peggiori esistenti) con quel che raccattano nel mercatino dell’usato. Difettano d’idee. Aveva già detto tutto Giorgio Gaber. Avrebbero fatto meglio a cantare.

Se destra e sinistra sono la marchiature delle due ideologie contrapposte, fascismo e comunismo, possono tranquillamente essere seppellite nel pozzo nero della storia. Due schifezze, che hanno in comune la sfiducia nell’uomo e l’aspirazione all’assoluto. Se, invece, entriamo nel mondo che quei due detestavano, quello democratico, allora la differenza fra destra e sinistra si delinea lungo il confine fra individuale e collettivo. Non sono due concezioni alternative, ma che si alternano. Non si escludono, s’integrano. Possiamo ancora utilizzare le definizioni tradizionali, dovute alla distribuzione delle seggiole parlamentari, ma a patto di deideologizzarle completamente. Altrimenti ci portano fuori strada.

Da una parte c’è l’idea che la sede della libertà è l’individuo, e senza libertà individuale non può esistere libertà collettiva. Dall’altra vive la convinzione che non c’è libertà senza giustizia ed equità, che hanno una dimensione necessariamente collettiva, senza la quale non esiste quella individuale. Da una parte si ritiene che un individuo si sente parte di una collettività se in questa può lavorare liberamente e inseguire le proprie aspirazioni, dall’altra si concreta l’appartenenza alla collettività nel trovare soccorso quando se ne ha bisogno, nel dare struttura istituzionale alla solidarietà. Da un lato si pensa ai diritti degli ultimi, che possono aspirare a essere primi, dall’altra ai doveri dei primi, che devono aiutare gli ultimi. L’estremo di una parte non sopporta vincoli collettivi al libero dispiegarsi dell’individuo, l’estremo dell’altra non sopporta individui che mettano a rischio, magari per eccessivo dinamismo, l’equilibrio collettivo. Ma gli estremisti sono matti, o mattacchioni.

La democrazia è naturalmente imperfetta, perché cancella l’aspirazione a principi assoluti e amministra i risultati relativi. Per questo è più facile morire per la libertà o per la giustizia, che non per la democrazia, ma sempre per questo arriva puntualmente la morte, culturale ed economica (ma anche fisica), dove non c’è democrazia. La sinistra sciocca pensa che sia bene distribuire il reddito, non comprendendo che per farlo occorre sottrarne una parte a chi ne produce di più, il che è ingiusto. Sarebbe saggio tassare più la rendita e meno il reddito, aprendo il mercato alla massima competizione possibile. E’ di destra? Sarebbe come dire che lo statalismo burocratico è di sinistra. Non lungimirante. La destra attardata suppone di potersi avvolgere nel tricolore, sventolato dai nostri militari, ma ha dimenticato d’essersi battuta contro le organizzazioni internazionali difensive e non sa che l’internazionalismo è ideale di sinistra. Il mercato va bene, dice la sinistra che vuol sembrare moderna, ma certo non in campi come la salute, la sicurezza e l’istruzione.

Che sfortuna, cribbio, Bersani ha beccato giusto i tre che funzionano meglio quando vengono affidati al mercato, laddove l’amministrazione politica trasforma in costi le opportunità. Lo Stato deve spendere bene i soldi, senza creare burocrazie, dice la stessa destra che ieri mattina, in piazza, reclamava l’assunzione dei precari.

A carico di chi pensava di metterli? I due declinatori di valori credono che se un bimbo nasce in Italia quello è un italiano, anche se figlio d’immigrati. Cosa può esserci di più giusto, tanto è vero che l’hanno pensato entrambe gli staff. Banalotto, però. Il problema non è il tasso di bontà che scorre nelle vene di chi s’esibisce, ma l’assoluta impossibilità a che s’accolga chiunque supponga di vivere meglio da noi che dove si trova. Se valesse lo ius soli, senza altre limitazioni, ci manderebbero i barconi di partorienti, la cui prole avrebbe diritto a scuola e assistenza sanitaria, a spese dell’oriundo pagatore di tasse (quindi non ricco evasore, ma sudato lavoratore).

L’attenzione, allora, si sposta sulle limitazioni, e siamo a capo, perché i problemi complicati non si risolvono con il volemose bene.

L’unico che aveva idee chiare sui valori, in quella trasmissione Rai, era Fabio Fazio, simpatica canaglia e sorridente profittatore, grande professionista dell’autopromozione, mai un piede fuori dal politicamente corretto (e scontato). Lui li calcolava in audience e quattrini. A lui, quindi, un ribadito: bravo.

www.davidegiacalone.it

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