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Giusto spegnere l’inflazione sul nascere

Dopo i tassi, i veri nodi per la ripresa

Il rialzo avrà scarsi effetti sull’economia. I problemi da risolvere sono ben altri

di Enrico Cisnetto - 02 dicembre 2005

Una scelta annunciata, e, per certi versi, necessaria. Ma l’impatto sull’economia non sarà così determinante. La decisione della Bce era nell’aria già da tempo, e lo stesso Jean-Claude Trichet aveva confermato informalmente la sua intenzione una quindicina di giorni fa. E aveva trovato il consiglio spaccato tra coloro che approvavano la stretta monetaria e chi, come Francia e Italia, desiderava che la stagione dei tassi bassi continuasse ancora per un po’, temendo che il vento di scheletrica ripresina che sembra soffiare sull’Europa si spegnesse. Sbagliando.

La Bce, infatti, ha già fatto sapere che con questa decisione non sta inaugurando un periodo di rialzi. Anzi, dopo questo ritocco Francoforte probabilmente si siederà ad aspettare gli effetti della sua mossa, forse addirittura per un anno. Monitorando i prezzi e verificando se il taglio ha avuto effetto sull’inflazione, che nell’ultimo periodo in Europa ha cominciato a rialzare leggermente la testa. E, come insegna la teoria economica, o la crescita dei prezzi viene affrontata subito, spegnendo il focolaio il prima possibile, oppure, quando l’incendio comincia a divampare, diventa difficilissimo intervenire. In più, Trichet sa che, con l’inflazione in salita, si rischia che il differenziale se lo mangi il costo della vita: a che serve allora avere i tassi bassi?

Trichet poi ieri ha anche ironizzato sul fatto che l’istituto di Francoforte è la banca centrale più prevedibile al mondo: la mossa era talmente annunciata che era stata già scontata, visti i rendimenti in crescita sia sui titoli di Stato che sui bond societari. E sia Tremonti che Baldassarri hanno ammesso che l’impatto sarà modesto, pur non dimostrandosi entusiasti della scelta. Ed è facile intuire il perché: oltre che sull’inflazione, il rialzo vuol dire maggiori interessi da pagare su alcuni titoli di Stato e sui mutui a tasso variabile. Nel medio termine la decisione avrà anche un effetto sul cambio, rivalutando l’euro sul dollaro, il che vuol dire difficoltà nell’export, mentre c’era chi sperava che la moneta dell’Ue arrivasse al rapporto di uno a uno con quella Usa. Così, questa “svalutazione all’europea” avrebbe dato la possibilità di “rubacchiare” sul cambio. Mentre per un vero rilancio dell’economia bisogna intervenire sui nodi strutturali che bloccano la crescita, non drogare il cavallo per farlo correre più veloce. Le basse performances delle economie europee in questi anni non hanno avuto nulla a che fare con il costo reale del denaro a zero. Altri sono i fattori che hanno impedito di crescere come gli Usa: domanda rachitica, export in difficoltà, bassa produttività pro capite a parità di ore lavorate e, dal lato dell’offerta, rigidità dei mercati dei beni e del lavoro, unite alla scarsa concorrenza nei servizi. Su questo bisogna intervenire.

Ma già immagino che, non appena uscirà qualche zero virgola in meno di pil, qualcuno dirà che il colpevole è Trichet. Tentando di far ricadere sugli altri la colpa della propria incapacità decisionale. Invece no: i tassi si sono alzati, ma che nessuno si sogni di trasformarlo in un alibi. Ogni nuova stagione economica è una sfida per la politica. Bisogna avere il coraggio e la capacità di affrontarla, senza continuare a nascondere la testa sotto la sabbia.

Pubblicato sul Gazzettino del 2 dicembre 2005

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