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Il bivio di Letta

Dismissioni o dimissioni

Annunciato il piano di dismissioni del patrimonio pubblico. Ma cosa vendere? In che tempi? E dove andranno a finire questi soldi?

di Davide Giacalone - 11 settembre 2013

Enrico Letta ribadisce la decisione di procedere con le dismissioni di patrimonio pubblico. Lodevole intento. Merita l’applauso. Mi spingo oltre: se fosse vero già sarebbe una buona ragione per non prolungare la vita del governo, ma segnalarne l’inizio. Gliecché, però, non basta dire “vendita” per supporre che il patrimonio immobile e infruttuoso sia utilmente valorizzato e, soprattutto, non basta dirlo. Le chiacchiere allungano lo strazio, ma non si monetizzano. Avendo già fatto l’esperienza dell’Imu, meno nobile del gioco delle tre carte, la diffidenza è lecita. Basterà che il governo risponda ad alcune domande, e che lo faccia subito, perché il nostro plauso divenga convinto e l’incredulità si dissolva.

Primo: con che strumento s’intende procedere? Si creerà un fondo, nel quale far confluire beni mobili e immobili, come ci era sembrato di capire? Sarebbe una strada sensata, capace di generare fin da subito liquidità. Oppure si procederà bene per bene? Secondo: di che beni stiamo parlando? Se si tratta di immobili è necessario intervenire legislativamente sulle destinazioni d’uso, liberandole da vincoli (l’Italia è piena di vecchie caserme nei centri storici, ma per valorizzarle è ovvio che chi compra non può essere invitato a farci una nuova caserma). Se si tratta di partecipazioni societarie è bene cominciare dalle municipalizzate, il che comporta una riscrittura delle norme regolanti i mercati che occupano. Se si tratta di entrambe le cose, meglio. Ma vorremmo sapere e vedere il cantiere legislativo al lavoro.

Terzo: di che tempi stiamo parlando? E’ ovvio che non è come vendere la casa della nonna defunta, ma perché non sembri una presa in giro del tempo è evidente che è rilevante rispondere alle domande già poste e stabilire in quale bilancio (è possibile farlo già per il 2014) i primi risultati possono essere previsti. Quarto: che si fa con i soldi incassati? Non dimentichiamo che si tratta di patrimonio pubblico, la cui vendita non è poi ripetibile. Credo che almeno la metà, meglio i due terzi, debba andare ad abbattimento del debito pubblico, togliendoci dal collo il cappio che strangola il Paese Uem con la più rigorosa politica di bilancio. Un terzo potrebbe andare a investimenti infrastrutturali, quindi alla ricreazione di patrimonio. Ma, anche qui: quali? Molto dovrebbe essere fatto nel campo della mobilità fisica. Di cielo, di mare e di terra. Detto senza balconcino.

Quinto: rispondendo alla domanda precedente, quindi individuando le modalità per l’abbattimento del debito, si deve rispondere al quesito successivo: come, in che misura e in che tempi questo si rifletterà in una diminuzione della pressione fiscale? Penso che dovrebbe accadere subito e in modo più che proporzionale. Alle autorità dell’Unione diciamo: siamo stati i più rigorosi, ora provvediamo ad abbattere il debito, sicché restituiamo fiato al mercato interno mediante taglio del fisco. Non venite a sindacare i decimali di deficit, perché la risposta potrebbe non essere educata.

Stiamo parlando di operazioni enormi, proiettate negli anni. Ma affinché negli anni non si proiettino solo le bubbole il governo deve rispondere ora alle domande poste. Noi siamo stati i primi a dire che l’unico governo possibile era quello delle larghe intese, in questa disgraziata legislatura, e siamo stati anche i primi ad accorgerci e dire che il governo non è mai partito, non funziona, galleggia imbarcando acqua. Ci sentiamo rispondere che si deve avere senso di responsabilità. Giustissimo: quindi le cose inutili si buttano via. Letta ha messo il piede su un terreno che può essere utilissimo e prezioso. Muova qualche passo e non si creda un monumento equestre. Dismissioni o dimissioni, questo è il bivio.

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