Ddl anticorruzione
Disfacimento percepito
Ecco quanto i conti della corruzione presunta siano campati in aria e non rispondenti a quella perseguita. Agire sul serio e subitodi Davide Giacalone - 24 ottobre 2012
Non ho mai vissuto e lavorato in Ghana, non so come siano messi dalle loro parti, ma conosco le nostre e sono affollate da gente cui il giustizialismo e il luogocomunismo ha fulminato la mente. Certi discorsi a cappero, destinati a dimostrare che non solo facciamo schifo, ma siamo anche fra i più schifosi del mondo, servono solo a preservare la corruzione che c’è, mettendola al riparo dall’unico antidoto che si conosca: giustizia efficiente e certezza della pena. E siccome non voglio farmi mancare niente, nel disturbare il placido stagnare del benpensante conformista, affermo anche che si stanno violando i diritti del cittadino Franco Fiorito.
A detta di un favoloso rapporto, commissionato dal governo, questa sarebbe la situazione: a. diminuiscono i casi di corruzione e concussione; b. diminuiscono le persone denunciate; c. diminuiscono i reati denunciati (-30%); d. diminuiscono le persone coinvolte (-50%); e. diminuiscono le condanne (-86%); f. aumenta la percezione che la corruzione stia crescendo. Ne deriva che o la giustizia è in definitiva bancarotta, talché neanche più vi si ricorre, oppure la percezione è sbagliata. L’una ipotesi non esclude l’altra. Invece si pretende di dedurne che il paradosso si verifica in quanto non ci sono leggi adatte a combattere la guerra contro i corrotti, annunciando la nuova era dell’onestà, sorgente con il disegno di legge governativo. Peccato che i ricordati decrementi si riferiscano alle leggi vigenti, quindi tale zuccherosa conclusione è priva di fondamento.
Si mescolano fenomeni diversi. Prima di tutto quello della giustizia che non funziona, che è il più grave, ma anche il più trascurato. Come nell’Italia descritta da Alessandro Manzoni, l’esercizio collettivo consiste nell’aumentare le pene e le grida, facendo finta di non vedere che le leggi esistenti vengono ignorate perché le condanne e le pene sono ipotesi del tutto aleatorie. Con l’aggravante che siccome la giustizia ha il ritmo di un bradipo si chiede di allungare i tempi della prescrizione (che sarebbe provvedimento incivile), laddove si dovrebbe accorciare quelli del procedimento.
Considerare suggestive e irrealistiche le conclusioni di quel rapporto governativo (influenzato da Trasparency International, la cui affidabilità è meramente percettiva) non significa affermare che la corruzione non esiste. So bene che questa è la sorte che mi toccherà, ma lo zoticume altrui non m’induce all’imitazione. Purtroppo dilaga. Per ridurla, oltre alla giustizia, servirebbe cambiare le procedure: sia tutto digitalizzato, pubblico e sempre accessibile, si conosca lo stadio di un permesso o di un’autorizzazione, in ogni momento e quale che sia il funzionario che se ne occupa, e vedrete che la percezione pubblica migliorerà. Invece s’invocano roghi e impalamenti, così proteggendo la corruzione esistente e corrompendo il diritto.
Il quale, del resto, è già ben avviato alla perdizione. Quando leggo, nella prosa del tribunale del riesame, che Franco Fiorito ha dimostrato “una condotta biennale di ostentata strumentalizzazione delle carica rivestita e di scandalosa dissipazione”, che è acclarata “la negativa personalità che è scolpita dal fatto, ovvero un ingordo grassatore della spesa pubblica”, nonché quanto sia “spudorata” la sua difesa, inorridisco. E chi non inorridisce è destinato all’orrore. Il mio giudizio politico su Fiorito è massimamente negativo, coinvolgendo con lui i suoi compagni di partito e tutti quei gruppi consiliari (tutti, quindi) che prendevano quei soldi e ne facevano quel che volevano. Ma il giudizio penale deve giungere in un regolare processo, già inquinato da ordinanze intrise di delirio moralistico e da un’irrefrenabile desiderio di farne strumento d’attività politica.
Se questo è il linguaggio della giustizia, rivolto a un cittadino che abbiamo il dovere di considerare innocente, quale volete che sia la percezione collettiva? E se poi si scopre che, immutata la condanna politica, non sia possibile quella penale, quale credete sia il giudizio popolare? Senza contare che tutta la vicenda aumenta l’idea che sia diffusa la corruzione, pur non entrandoci nulla con la corruzione.
Ho già documentato (11 settembre scorso) quanto i conti della corruzione presunta siano campati in aria e non rispondenti a quella perseguita. Mi limito a ricordarne uno: se si stima un valore di 60 miliardi l’anno (boom!) e la Corte dei conti ne persegue 50 milioni, o cambiamo i conti o chiudiamo la Corte. O tutte e due le cose.
A detta di un favoloso rapporto, commissionato dal governo, questa sarebbe la situazione: a. diminuiscono i casi di corruzione e concussione; b. diminuiscono le persone denunciate; c. diminuiscono i reati denunciati (-30%); d. diminuiscono le persone coinvolte (-50%); e. diminuiscono le condanne (-86%); f. aumenta la percezione che la corruzione stia crescendo. Ne deriva che o la giustizia è in definitiva bancarotta, talché neanche più vi si ricorre, oppure la percezione è sbagliata. L’una ipotesi non esclude l’altra. Invece si pretende di dedurne che il paradosso si verifica in quanto non ci sono leggi adatte a combattere la guerra contro i corrotti, annunciando la nuova era dell’onestà, sorgente con il disegno di legge governativo. Peccato che i ricordati decrementi si riferiscano alle leggi vigenti, quindi tale zuccherosa conclusione è priva di fondamento.
Si mescolano fenomeni diversi. Prima di tutto quello della giustizia che non funziona, che è il più grave, ma anche il più trascurato. Come nell’Italia descritta da Alessandro Manzoni, l’esercizio collettivo consiste nell’aumentare le pene e le grida, facendo finta di non vedere che le leggi esistenti vengono ignorate perché le condanne e le pene sono ipotesi del tutto aleatorie. Con l’aggravante che siccome la giustizia ha il ritmo di un bradipo si chiede di allungare i tempi della prescrizione (che sarebbe provvedimento incivile), laddove si dovrebbe accorciare quelli del procedimento.
Considerare suggestive e irrealistiche le conclusioni di quel rapporto governativo (influenzato da Trasparency International, la cui affidabilità è meramente percettiva) non significa affermare che la corruzione non esiste. So bene che questa è la sorte che mi toccherà, ma lo zoticume altrui non m’induce all’imitazione. Purtroppo dilaga. Per ridurla, oltre alla giustizia, servirebbe cambiare le procedure: sia tutto digitalizzato, pubblico e sempre accessibile, si conosca lo stadio di un permesso o di un’autorizzazione, in ogni momento e quale che sia il funzionario che se ne occupa, e vedrete che la percezione pubblica migliorerà. Invece s’invocano roghi e impalamenti, così proteggendo la corruzione esistente e corrompendo il diritto.
Il quale, del resto, è già ben avviato alla perdizione. Quando leggo, nella prosa del tribunale del riesame, che Franco Fiorito ha dimostrato “una condotta biennale di ostentata strumentalizzazione delle carica rivestita e di scandalosa dissipazione”, che è acclarata “la negativa personalità che è scolpita dal fatto, ovvero un ingordo grassatore della spesa pubblica”, nonché quanto sia “spudorata” la sua difesa, inorridisco. E chi non inorridisce è destinato all’orrore. Il mio giudizio politico su Fiorito è massimamente negativo, coinvolgendo con lui i suoi compagni di partito e tutti quei gruppi consiliari (tutti, quindi) che prendevano quei soldi e ne facevano quel che volevano. Ma il giudizio penale deve giungere in un regolare processo, già inquinato da ordinanze intrise di delirio moralistico e da un’irrefrenabile desiderio di farne strumento d’attività politica.
Se questo è il linguaggio della giustizia, rivolto a un cittadino che abbiamo il dovere di considerare innocente, quale volete che sia la percezione collettiva? E se poi si scopre che, immutata la condanna politica, non sia possibile quella penale, quale credete sia il giudizio popolare? Senza contare che tutta la vicenda aumenta l’idea che sia diffusa la corruzione, pur non entrandoci nulla con la corruzione.
Ho già documentato (11 settembre scorso) quanto i conti della corruzione presunta siano campati in aria e non rispondenti a quella perseguita. Mi limito a ricordarne uno: se si stima un valore di 60 miliardi l’anno (boom!) e la Corte dei conti ne persegue 50 milioni, o cambiamo i conti o chiudiamo la Corte. O tutte e due le cose.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.