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Discutiamo sul futuro del Paese

Lettera agli amici e alle amiche di Società Aperta: ridiamo speranza e battiamo il declino

di Società Aperta - 06 settembre 2005

Pubblichiamo una lettera aperta di Antonio Gesualdi indirizzata al Presidente di Società Aperta, l'associazione editrice del nostro giornale. Come lo stesso autore sostiene, sarà questa l'occasione per l'apertura di un ampio dibattito all'interno del nostro movimento e della società italiana. Di seguito, pubblichiamo anche la risposta di Elio Di Caprio.
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Carissimo Presidente,

Alberto Ronchey sul Corriere della Sera ha chiesto: "Dov’è la politica?". Non è una domanda retorica. Ronchey ha studiato bene le lezioni di Ugo La Malfa e sa che non sono i tecnicismi a farci uscire dal declino, ma il pragmatismo. Ma Ronchey sa anche che non è l'economicismo a condurre la politica: se così fosse saremmo più marxisti dei marxisti. A condurre, a condurci, è prima di tutto il nostro esame della realtà e ciò che ci piacerebbe che fosse.

E oggi, ancora una volta, noi tutti, in Società Aperta e fuori, siamo chiamati a fare scelte politicamente importanti. Per come è fatto il nostro Paese, nel passato, si sono trovate sempre soluzioni che hanno evitato le degenerazioni civili. Cosa è stato il Concordato se non un patto catto-fascista che ha permesso di poter allevare una classe dirigente per il post-fascismo? Cosa è la nostra Costituzione, catto-comunista, produttrice di governi di solidarietà, di compromessi storici ecc., se non l'incubatrice di una classe dirigente – che dovremmo essere noi – per il post-comunismo?

Sono convinto che se non vogliamo degenerare in uno scontro dell'uno contro l'altro, di un polo contro l'altro, sia giunto il tempo di tirar fuori questa nuova classe dirigente. Coloro che scientemente non si riconoscono in un polo di catto-destra e in un polo di catto-sinistra ora devono fare una scelta di identità politica. Siamo ad un punto che Gramsci avrebbe definito di "equilibrio catastrofico". Da più di un decennio viviamo in una condizione ottocentesca e bonapartista di personalizzazione della politica. I contendenti il potere sono talmente equilibrati, catastroficamente così equilibrati, che si è dovuto sdoganare tutte le estreme di tutti i tipi. L'unica via di uscita, appunto di tipo ottocentesca, si è presentata sotto le sembianze di un Berlusconi. Non abbiamo fatto molta strada in queste condizioni e non ne faremo molta perseverando.

Non è neppure tutta questione di tecnicismi, seppure il tipo di legge elettorale ha la sua importanza. Lo stesso Ronchey nel libro dove ci insegnava il "fattore K" insisteva nel superamento del proporzionale: "si può adottare il doppio turno con ballottaggio – scriveva nel 1982 – come in Francia, o una soluzione mista tra maggioritario e proporzionale come in Germania..." E' quello che è stato fatto in questa sciagurata Seconda Repubblica. Ma non è bastato. Il problema è altrove. E' lo stesso errore che si commette quando si pensa alla fine del capitalismo perché il prezzo del petrolio s’impenna. Il capitalismo non è che uno strumento delle democrazie, non il fine. Un capitalismo sano può fare anche a meno del petrolio se stimola e produce energie alternative. Così come una Democrazia sana e una Politica sana prescindono dai tecnicismi. Una Politica sana decide, non subisce. Dunque oggi quelli come noi devono decidere cosa fare nel caso non si verificasse l'emergere di una nuova classe dirigente e la degenerazione del sistema ci dovesse condurre ad uno scontro frontale tra i due poli contrapposti. Oggi siamo dunque chiamati ad assumere responsabilità personali e storiche.

Caro Presidente,

Francesco Cossiga nel faccia a faccia con te, a Cortina, ha detto: "mi asterrei volentieri, ma siccome ho ricoperto cariche pubbliche andrò alle urne e voterò sia centro-destra, sia centro-sinistra". Perfettamente coerente con la sua storia personale e politica. Noi di Società Aperta dobbiamo tenere altrettanta coerenza? Nel caso dovessimo trovarci in questa situazione politica di "tutti contro tutti" – imbarbariti nell'asse Prodi-Berlusconi – senza più identità storiche, sfumature, diversità dobbiamo scegliere di parteggiare per l'uno o per l'altro polo? Sarebbe meglio astenersi? Turarsi il naso e scegliere il "meno peggio"? O tutti e due come Cossiga?

Ogni soluzione attinente all'ipotesi dello scontro frontale ha sempre l'aggravante di indurci a partecipare alla anormalità e degenerazione del nostro sistema politico. Dobbiamo superarla standone fuori o dentro? Su questo tipo di questione il Partito d'Azione finì la sua storia mentre il Partito Repubblicano ne cominciò una nuova. Nessuna democrazia occidentale ha avuto ed ha solo due partiti o due poli nelle competizioni elettorali. Neppure gli Stati Uniti. Perfino i tedeschi che, comunque oltre i luoghi comuni, non si fidarono della SPD neppure dopo Bad Godesberg, decidono di passare prima per una Grosse Koalition tra il 1966 e il 1969 e poi per un governo dell'alternativa. Ma l'alternativa l’hanno fatta con una coalizione tra socialdemocratici e liberali guidati da Helmut Schmidt. Sono stati i liberali tedeschi, non i socialdemocratici, a mandare all'opposizione i democristiani.

Nel nostro Paese, invece, sono i "partiti cattolici" a dover mediare e gestire le nuove politiche. Senza il Vaticano non avremmo avuto un De Gasperi e non avremmo avuto una Democrazia Cristiana. La Dc non era il partito dei cattolici, ma aveva strettamente a che fare con i cattolici. Oggi l'Udc è il partito dei cattolici, ma potrebbe avere a che fare con i laici. Spetta solo ai cattolici, dunque, ancora una volta, decidere cosa deve essere del nostro futuro?

Battiamoci perché si dia a chi non si riconosce nei due poli il proprio riferimento. Se questo non sarà possibile, se la classe dirigente politica non avrà coraggio, allora, chiariamoci: è meglio che il nostro movimento cerchi di portare in Parlamento alcuni suoi esponenti di spicco oppure che se ne resti fuori? In Parlamento ci sarà bisogno di voti moderati. Nella società ci sarà bisogno di menti libere pronte ad intervenire dopo la catastrofe. Dove è più proficuo stare, non solo per il nostro bene, ma per il bene del Paese?

Su questi interrogativi di fondo propongo formalmente di aprire un dibattito pubblico. Intanto su Terza Repubblica, ma magari anche con una campagna nazionale. La domanda è: cosa devono fare quelli che non si riconoscono nè a destra nè a sinistra? Astenersi, votare sia destra che sinistra, fondare un terzo polo, turarsi il naso e scegliere solo il meno peggio? Non propongo il solito sondaggio, ma l’apertura di un grande dibattito tra noi e nel Paese.

Cordialmente,

Antonio Gesualdi



Ecco come Elio Di Caprio risponde su Terza Repubblica alla lettera di Antonio Gesualdi

Caro Presidente di Società Aperta,

mi collego alle intelligenti considerazioni di Antonio Gesualdi con qualche riflessione in più.

Qualcosa si sta muovendo nell'agitato stagno della politica italiana. E' bastato il rilancio del proporzionale - che per i tempi e i metodi ha più il sapore di un primo regolamento di conti all'interno del centro-destra - a smuovere un po’ le acque e a dimostrare che cambiare si può, che questo bipolarismo è arrivato al capolinea. L'importante è che si cominci a discutere su come uscire dall'attuale impasse

Società Aperta, con una serie di efficaci iniziative, ha fatto di tutto per far venire alla luce i malesseri di un sistema politico-elettorale escogitato con una mentalità tardo-partitocratica, dopo il referendum sul maggioritario degli anni '90. Ma ciò ovviamente non poteva bastare e accontentiamoci del paradosso che la proposta proporzionalista sia portata avanti proprio dal centro-destra che, con la personalizzazione estrema della politica, è riuscito a deteriorare ancor più un bipolarismo-maggioritario costruito sull'equivoco.

La prime reazioni alla proposta proporzionalista sono sconcertanti. Se qualunque iniziativa di vasto respiro viene fatta e pregiudizialmente respinta in base a calcoli politici di convenienza - è successo già con la Bicamerale - mi domando che fine ha fatto lo spirito democratico che, accanto al senso dello Stato, dovrebbe essere il carattere principale delle classi dirigenti di maggioranza ed opposizione in quanto tali.

Poter scegliere tra più partiti, senza il blocco imposto dalla figura di presunti leader carismatici addirittura indicati dalla scheda elettorale, è un esercizio di democrazia, non una frammentazione della democrazia. Avendo respinto sia l'ipotesi presidenzialista francese che quella proporzionalista tedesca ci siamo accontentati dell'ibrido che ci ha portato in una posizione di stallo, di infinita transizione verso non si sa cosa.

La tentazione proporzionalista (che probabilmente rimarrà tale) non può non fare emergere la tentazione centrista: vengono agitati gli spauracchi di un ritorno al passato, di una nuova Tangentopoli, si fa voluta confusione tra sistema maggioritario ed assetto bipolare delle coalizioni.

Ma chi l'ha detto che con il sistema proporzionale non possa restare un bipolarismo tendenziale, ormai assimilato dal corpo elettorale, e - perché no? - un tripolarismo?

E veniamo all'"araba fenice" del centro. Chi ha paura del centro e di quale centro?

Dopo il fallimento di questo bipolarismo dobbiamo rivedere anche il significato di centro. Se si è giustamente accettato che postcomunisti e postfascisti possano legittimamente concorrere a diventare forze di governo, perché mai dovremmo trasferire i vecchi pregiudizi sui post-centristi, anche essi mondati da errori appartenenti ad un altro periodo storico? Siamo o non siamo in un'epoca postideologica? Non è detto che il post-centro debba per forza ridiventare il perno di un sistema immobile e senza ricambio, basato sulla retorica di un presunto moderatismo. Anche l'estremismo di centro ha fatto il suo tempo...

Un terzo polo riformatore, più che riformista, è nelle aspettative di una robusta minoranza che non si sente rappresentata né da Prodi, né da Berlusconi.

Terza Repubblica, Terza Posizione, Terzo Polo... ma con quali uomini? A fronte dell'evidente calo di appeal politico dei partiti, nella cosiddetta Seconda Repubblica non sono emersi grandi uomini di Stato, ma grandi uomini di partito da Berlusconi, a Fini, a D'Alema, a Prodi (quest'ultimo senza neanche un partito...) a Bertinotti, forse a Rutelli.

Dobbiamo confrontarci con questa realtà. Certamente, se avessimo scelto chiaramente e coerentemente un sistema elettorale alla francese, con doppio turno, o uno alla tedesca con proporzionale e serio sbarramento, non saremmo in questa situazione di stallo e di sfiducia, costretti ancora - a meno che la situazione non cambi in pochi mesi - a scegliere tra Prodi e Berlusconi, due "vecchi campioni" che hanno calcato con insuccesso la scena politica degli ultimi anni.

Sappiamo tutti che il sistema elettorale è un mezzo e non un fine, ma se si sbagliano i mezzi non si può raggiungere alcun fine.

Come uscire dal pantano con una proposta politica? Se il problema se lo pone un movimento esterno di opinione come Società Aperta, figuriamoci se non se lo pongono gli attuali attori del mercato politico, che utilizzeranno tutti i mezzi per prendere o conservare il potere... Ne vedremo ancora delle belle fino alle prossime elezioni e forse ancora oltre...

Terza Repubblica, terzo polo, sono tutte indicazioni di prospettiva che possono fallire se si sbagliano i tempi della politica. Diventa, a mio parere, sempre più problematico inserirsi nelle varie fasi dell'infinita transizione italiana per arrivare a un punto fermo e di scelta. Bisogna trovare un leader che riassuma le aspettative di un elettorato sfiduciato e intanto attrezzarsi per concorre alla formazione di un TERZO POLO che rompa l'attuale fittizio equilibrio tra i due poli esistenti e si presenti con un progetto politico alternativo. Si fa ancora in tempo in questa legislatura? Il dibattito sul proporzionale ha rotto un incantesimo, fa capire che si può cambiare e che ci sono forze disposte al rischio del cambiamento.


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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.