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Una società sancisce l’armistizio dopo anni

Dietro l'intesa tra Silvio e Carlo

L’accordo per il dopo-2006 è un bene. Purché non sia una nuova <i>conventio ad excludendum</i>

di Enrico Cisnetto - 02 agosto 2005

Il diavolo e l’acqua santa. Il fondo d’investimento costituito con i denari della Fininvest di Silvio Berlusconi e della Cdb Web Tech di Carlo De Benedetti, che ha come scopo quello di intervenire in aziende in difficoltà, ha fatto parlare di una Yalta dei poteri forti, visto che per il Cavaliere e l’Ingegnere diventare soci – obiettivo frutto di un lungo lavoro diplomatico orchestrato dall’impareggiabile Gianni Letta – significa mettere fine ad una pluridecennale guerra editorial-finanziario-politico-giudiziaria. Ma siamo sicuri che si tratti solo di questo? Possibile che l’amor patrio di fronte al declino dell’economia italiana (negato da uno dei due neo-partner) abbia spinto i due “nemici per la pelle” sulla soglia dei settantanni a far pace? Sarà, ma io ci credo poco. Penso, maliziosamente, che la Yalta non sia tanto, o solo, tra le persone di Berlusconi e De Benedetti, e i rispettivi gruppi, quanto tra due mondi che hanno interesse a regolare prima delle elezioni del 2006 i loro rapporti. Il presidente del Consiglio, al di là dei sondaggi, non può non aver preso in considerazione l’ipotesi di perderle, le prossime Politiche. E di conseguenza, non può non aver predisposto un “piano salvezza” per le sue attività, i suoi soldi e possibilmente per la sua sorte personale (in senso giudiziario). In questo senso, “stemperare” con i nemici è la giusta parola d’ordine. Di qui: l’approccio bipartisan sul terrorismo, che appare come un’occasione colta al volo per ridurre il conflitto con Ds e Margherita; il sostanziale favore alle opa di Bpi e Unipol e più in generale alla “rete” che unisce la cosiddetta “finanza rossa” con la Hopa di Gnutti – di cui Fininvest è socia – e l’asse Fiorani-Ricucci (la cosa ricorda specularmente la “visita” di D’Alema a Mediaset prima delle elezioni del 1996); l’apertura, tramite il nuovo fondo d’investimento, alla coppia Della Valle-Montezemolo. Poteva mancare un’entente cordiale con il capo del “partito di Repubblica”, che in caso di vittoria del centro-sinistra torna ad essere uno snodo fondamentale del potere politico ed economico? E, d’altra parte, quale miglior occasione per De Benedetti di riaffermare la sua “centralità” che avere in mano i contenuti dell’armistizio con il Berlusconi perdente?

Tutto questo, sia chiaro, va considerato positivamente. Troppe guerre hanno per troppo tempo insanguinato il nostro capitalismo perché si debba cercare quanto di consociativo inevitabilmente c’è in un “patto” del genere. E poi la scusa, cioè la finalità del fondo d’investimento, è certamente buona, perché il nostro sistema ha bisogno di nuove Mediobanca che sappiano dirigere il traffico della ristrutturazione (dolorosa) del capitalismo in crisi. Ben venga, dunque, la pace tra il Cavaliere e l’Ingegnere. A margine, c’è solo un suggerimento da dare e un rammarico da esprimere. Il primo è: occhio a non formare un nuovo establishment basato sulle esclusioni preventive, perché le guerre riprenderebbero sotto altre forme. Il secondo riguarda il ruolo politico di Berlusconi. Negli anni del suo governo non si è visto un briciolo di politica industriale. Ora fa piacere che si accorga, da imprenditore, che il nostro manifatturiero fa acqua da tutte le parti, ma non era meglio occuparsene da premier?

Pubblicato sul Messaggero del 31 luglio 2005

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