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La maggioranza senza una politica economica

Dietro le dimissioni di Siniscalco

Indebolito dalla vicenda Bankitalia, non poteva difendere una finanziaria destinata al massacro

di Davide Giacalone - 22 settembre 2005

Quel che ha portato Siniscalco alle dimissioni non è la dispettosa permanenza di Fazio. Cerchiamo di non essere ipocriti, e guardiamo dritto in faccia i problemi reali.

Il governo di centro destra, guidato da Silvio Berlusconi, è stato il primo governo ad avversare, in modo aperto, l’autoreferenzialità della Banca d’Italia e l’inamovibilità del governatore, proponendone una riforma. Il protagonista di quella battaglia fu Giulio Tremonti, allora ministro dell’economia, che proprio su quel terreno di battaglia riportò ferite gravi, e perse il posto. A difendere Fazio, allora, quando già gravi ed evidenti erano le sue responsabilità nell’avere coperto un sistema gravemente dannoso per gli interessi dei risparmiatori, fu gran parte di quel mondo che oggi strepita assumendo la presenza di Fazio quale danno per il Paese.

C’è di più. Fazio non si è ancora dimesso, continua a credersi in gioco, probabilmente si autoconsidera un uomo di carattere, capace di affrontare la tempesta, e neanche vede che il suo congelamento al timone porterà l’intero bastimento al naufragio rovinoso. Ma il “caso Fazio” non è solo il psicanalitico smarrimento del principio di realtà, c’è anche il fatto che a Fazio, in queste circostanze, non mancano degli appoggi. Si leggano bene le vicende in corso, non si faccia finta di credere che attorno alla Banca Nazionale del Lavoro si stia svolgendo un seminario circa l’evoluzione delle cooperative dal mutualismo socialista al mercatismo borsaiolo, e si capirà perché, dal fortino di via Nazionale, taluno ritiene che vi siano truppe al lavoro, magari situate dietro (stay behind) le linee nemiche.

Inoltre, e tralasciando tutte le considerazioni sul giustizialismo intercettatorio e sulla vergogna del giornalismo velinaro, l’ultimo degli spettacoli che possa giovare, alla buna salute delle istituzioni ed alla loro credibilità internazionale, è quello di un capo del governo che chiede la testa della più alta autorità indipendente di controllo, e quest’ultima che rimane attaccata al collo, almeno per il tempo necessario a chiudere qualche faccenda. Dunque nessuno, sano di mente e di morale, può agitare il caso Fazio per imputarne al governo, e magari solo al governo, la principale responsabilità.

Siniscalco se ne va perché lo stallo istituzionale, legato ai problemi della Banca d’Italia, lo indeboliva sempre di più, in sede nazionale ed internazionale, nel momento in cui la finanziaria da lui predisposta si avviava ad essere massacrata. E qui si mescolano problemi vecchi e nuovi.

La finanziaria è divenuta un appuntamento rituale cui il governo giunge sempre con il respiro corto e non preparato. Quella legge non è più il riflesso contabile di una politica economica, ma l’adempimento di un obbligo che suscita un dibattito tutto pubblico e tutto privo della benché minima razionalità. Gli inni alla serietà e severità si accompagnano alle invocazioni d’aiuti alle famiglie, gli uni e le altre privi di qualsiasi materiale consistenza, strilleti lanciati al solo scopo di far sapere ch’esiste anche l’ugola da cui dipartirono. Anche quest’anno s’arriva all’indecoroso parapiglia in affanno di cassa e senza idee che muovano quale che sia motore di politica economica, nel mentre tutto ciò che si è rimandato ed occultato rigurgita inesorabilmente.

Al professor Siniscalco questo deve essere apparso chiaro, inducendolo ad andar via. Speriamo sia chiaro anche a chi andar via non può, ma neanche può restare a guardare, magari suonando la lira, affascinato da bagliori sempre più vicini.

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