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Le reazioni della Rai

Dietro la celentaneide

L'appello di Celentano al Governo riguardava il futuro della gestione della Rai

di Davide Giacalone - 18 febbraio 2012

La celentaneide ha una trama noiosissima e scontata, ma occhio alle sorprese. Anno dopo anno il copione è sempre identico: si offre al banalissimo canterino una tribuna, quello annuncia che vuole assoluta libertà, si dibatte di quel che dirà, si assicura che l’acrobata s’esibirà senza rete, in realtà tutti sanno benissimo che dirà minchionerie galattiche, si faranno salire gli ascolti, si pagherà una montagna di quattrini, del contribuente, e si chiuderà il capitolo, in attesa di una ripetitiva replica. Chi dice che non se l’aspettava merita la stesa considerazione di chi sostiene che le previsioni del tempo non erano chiare e non si sapeva che sarebbe caduta la neve, annunciata da una settimana. In Rai sono tutti responsabili di quel che è successo, perché tutti sapevano e tutti attendevano il botto.

Dal presidente al direttore generale, dal direttore di rete al conduttore. Nulla era inaspettato, eppure c’è stato un imprevisto: la corale reazione negativa. Su quella vale la pena riflettere, come sul modo per uscire da questa patetica sceneggiata. Improvvisamente il sermoncello sconclusionato è stato riconosciuto per quel che è sempre stato: una boiata offensiva. Anche questo appartiene al cambio di clima: non sta più bene parlare male di tutto e di tutti, perché in quella totalità si trova anche ciò di cui s’è tenuti a parlare bene. Il vegliardo rocchettaro pensava ancora di menarla con la bellezza di starsene a piedi nudi a giocare sui prati, rimpiangendo la bucolica miseria nella quale abbandonare gli altri, incassando per sé dei bei quattrini, con cui pagare le scarpe e le comodità della modernità, perpetuando il costume di disprezzare quel sistema di libertà grazie al quale non solo si parla a vanvera, ma anche si campa alla grande.

Invece, questa volta, non è stato accolto come una voce del popolo, come un gorgheggio di verità taciute, bensì come lo spurgo d’insopportabili volgarità. Cos’è cambiato? E’ cambiato il racconto che la pubblicistica perbenino vuole imporre, relativamente alla nostra vita collettiva. Da qui alcune conseguenze. Prima dell’esibizione eravamo solo noi ad osservare quanto sia vile pretendere palate di soldi e poi annunciarne la devoluzione in beneficenza. Dopo l’esibizione ciò non solo è dato per scontato, ma si scopre che anche l’altro fabbricante di false sorprese monologanti, l’altro iperconformista del falso anticonformismo, il toscanaccio lecchinato per l’ardimento con cui si getta nell’invettiva a senso unico, promise donazioni che poi mai fece. Bugiardissimi profittatori, della cui stoffa mai dubitammo. E l’audience? Gli indici d’ascolto hanno toccato le stelle. Un successone. Al quale si dovrebbe rispondere offrendo agli italiani il ricordo di un vero anticonformista, di un vero uomo libero: Giorgio Gaber. Risentite le cose che diceva, sull’audience.

Posto ciò, e aggiunto che se le Iene vanno a scopiazzare due bellissimi sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli (“Er padre de li santi” e “La madre de le sante”) evitino di deturparli, facendoli decadere a turpiloquio, osservato, inoltre, che faceva ridere la Rai che voleva mettere i mutandoni alla gemelle Kessler, ma anche quella che innesca l’alato dibattito sull’ipotesi che sia stato indossato un indumento che chiamare mutanda equivale a scambiare l’erotismo con la ginecologia, veniamo al punto e non prendiamoci in giro: la celentaneide ha legittimato l’appello al governo, affinché rimetta le briglie al brocco Rai. E non va bene. Lo stesso presidente del Consiglio, del resto, aveva annunciato una prossima rivelazione, ben sapendo che ad aprile scade il consiglio d’amministrazione, sì che anche questa fallimentare gestione potrà essere archiviata. Cerchiamo di capirci: alla Rai si sono sperimentati consigli di ogni tipo, dai professori ai ricchi, senza mai cambiare d’un pelo la natura lottizzatoria e sprecona dell’azienda, senza che mai sia ricomparso alcunché possa essere anche solo lontanamente scambiato per servizio pubblico. Quindi, non prendiamoci in giro e non facciamo finta di credere che sia una diversa governance, versione inglese che maschera un cambio della guardia, a risolvere alcunché.

Anche perché se si fa una Rai morigerata e a modino, tutta documentari sulla Lapponia e approfondimenti sull’anatocismo si ottiene il solo risultato di perdere ascoltatori e pubblicità, aumentando sia i buchi che i costi. La Rai va sbaraccata, per essere valorizzata dal mercato. Teniamo allo Stato gli archivi e vendiamo tutto il resto, anche cambiando la legge (voluta dal centro destra) che ne impedisce la totale privatizzazione. Se è questo che il governo Monti farà, avviando la dismissione di un più vasto patrimonio che non serve, sia benedetto. Se, invece, ci si orienta verso nuovi assetti, allora preferiamo avvertire subito: sarà pure sobria, ma sarà sempre lottizzazione.

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