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L'editoriale di TerzaRepubblica

Diciamo basta al Berlusconi si-Berlusconi no

L'Italia è stanca della contrapposizione permanente che mortifica le energie migliore

21 settembre 2013

Tanto tuonò che non piovve. Come era prevedibile, e come qui avevamo previsto, nonostante il voto contrario della Giunta del Senato, Silvio Berlusconi non ha fatto cadere il governo, e si accinge a lasciare alla conclamata stupidità di una parte consistente della dirigenza del Pd l’eventuale responsabilità di “staccare la spina”. Sia chiaro, il Cavaliere non ha alcun disegno in testa, ma nel gioco dello scaricabarile – fatto sulla pelle del Paese, che nel frattempo non riesce a recuperare un minimo di fiducia, ingrediente indispensabile per uscire dalla crisi – appare più bravo dei suoi avversari. A rimetterci è così la giustizia, bisognosa di essere riformata e invece stritolata in quel cupio dissolvi di cui siamo prigionieri, che trae origine dal maledetto impasto che somma la deresponsabilizzazione della politica e l’essere sopra le righe di magistratura e media.

Ne è un esempio, doloroso, l’uscita che Enrico Letta ha fatto sul tema. Il premier ha formalmente ragione e sostanzialmente torto quando dice che “in Italia lo stato di diritto funziona” e si giustifica asserendo che “sarebbe paradossale se nel momento in cui presentiamo un piano per l’attrazione degli investimenti esteri passasse il messaggio contrario”. Infatti, l’assenza di una giustizia – civile e penale – affidabile, capace di decidere in tempi ragionevoli, non è un’opinione, né discende da questioni relative ad una persona (Berlusconi, nella fattispecie), ma si tratta di un fatto oggettivo, certificato dall’Ocse, comprovato dall’essere il paese con più condanne comminate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e vissuto sulla propria pelle da decine di migliaia di italiani. Ed è verissimo, purtroppo, che costituisca un forte ostacolo, forse il principale tra tanti, agli investimenti stranieri nel nostro paese. Ma c’è di più: la malagiustizia, unita ad un pesante clima di persecuzione mediatico-giudiziaria nei confronti di qualsiasi attività economica dovuta ad un pregiudizio di natura ideologica, sta diventando uno dei motivi che inducono gli imprenditori nostrani a non investire più un centesimo o, peggio, a delocalizzare o vendere le aziende. Il caso Ilva è lì a indicare, impietosamente, quanto compromesso sia lo stato di diritto e quanto tutto questo si ripercuota sull’economia italiana. Non prenderne atto da parte di un governo per la sola preoccupazione di non apparire indulgente verso un uomo politico impegnato, a torto o a ragione non importa, in una personale guerra contro la magistratura, è un errore strategico di primaria grandezza. E non prendere atto che dalla riforma della giustizia – quella complessiva che Berlusconi non ha mai (colpevolmente) realizzato, non quella personale a suo uso e consumo – transita necessariamente un pezzo importante della risposta che si vorrebbe dare al nostro declino economico, significa costringere il Paese a rimanere prigioniero della sua ormai strutturale decadenza.

Ma l’aver ridotto la “questione giustizia” alla “questione Berlusconi”, per colpa di entrambe le fazioni, e di conseguenza aver lasciato che mille emergenze riempissero le agende dei governi e della politica della Seconda Repubblica, mortificando ogni intenzione riformista, non è un accidente, una casualità. No, il perduto equilibrio tra il potere esecutivo e legislativo, da un lato, e la funzione della magistratura, dall’altro, è l’inevitabile conseguenza – una delle tante negative – del prevalere nella cultura del Paese (non solo politica) di quella che Giuseppe De Rita chiama “esasperazione bipolare”. Il fondatore del Censis ha spiegato, in una bellissima intervista al Mattino che merita la lettura integrale, come la frattura che il bipolarismo fazioso ha prodotto nella società abbia impoverito la classe dirigente – finendo per selezionare opposte tifoserie, non i migliori – mentre al contrario l’Italia è bisognosa di uomini capaci di “letture” non partigiane della realtà per capire uscire dal declino e costruire un nuovo futuro.

Caro De Rita, quei “terzisti” che tu evochi – antropologicamente terzi rispetto alla semplificazione di ogni cosa imposta dalla cultura che esalta il dato specifico e mortifica i fenomeni – sono di casa a TerzaRepubblica, anzi ne sono l’essenza stessa. Per questo guardiamo con interesse e speranza alla tua analisi, secondo cui gli italiani, anche quelli che avevano sperato nella (presunta) azione salvifica del bipolarismo, sono stanchi della contrapposizione permanente e immanente che ammorba tutto e tutti. E che da questa stanchezza possa nascere una nuova stagione – politica, culturale, morale – di “rinascimento”. Noi ci crediamo.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.