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La violenza imbecille negli stadi

Devono reagire i dirigenti e i giocatori ma anche i giudici e i giornalisti

Per arginare la barbarie occorre lo sforzo di tutti

di Davide Giacalone - 12 aprile 2005

Non c’è ragione alcuna per tollerare che le partite di calcio si trasformino in guerriglia urbana. Per molte, buone ragioni. Come ha giustamente detto il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, è intollerabile che ottantacinque tutori dell’ordine finiscano all’ospedale per una domenica calcistica. La salute di ciascuno di loro vale più di una assai malintesa passione sportiva. Lo stadio deve potere essere aperto a tutti, e non ci si deve recare alla partita con il timore di finire fra i fuochi delle barricate o sotto la carica della polizia. Se le cose stanno diversamente si chiudano gli stadi. L’idea che i violenti siano solo dei ragazzacci o degli esuberanti è totalmente sbagliata. La forza cieca con la quale si scagliano contro polizia e carabinieri, oltre, naturalmente, alla furia omicida con cui si pestano fra loro, è segno di una malattia profonda, di un’aggressività che deve essere repressa con decisione, se non si vuole che contagi altri, e più delicati, aspetti ed ambiti della vita civile. Alla reazione devono essere chiamati i dirigenti delle squadre di calcio ed i giocatori. Lo sport può fare tranquillamente a meno di quanti non sappiano spendere una parola contro i violenti. Devono essere chiamati giornalisti e commentatori, perché è vero che un certo grado di passionalità rende più accattivanti le discussioni negli studi televisivi, ma chi non sa usare l’ironia e predilige la rissa, anche da lì può e deve essere allontanato. E deve essere chiamata anche la giustizia, affinché sia meno clemente e comprensiva: leggere sentenze nelle quali si afferma che è reato far esplodere lacrimogeni allo stadio, ma non il portarceli, lascia perplessi. Detto tutto questo, ho davanti l’immagine della partita Lazio-Livorno. Da una parte si sventolano bandiere con la croce uncinata dei nazisti, dall’altra quelle della CCCP, l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche, rosse con la falce ed il martello. I simboli delle due grandi tragedie del ventesimo secolo. Gli stendardi di due ideologie che hanno parimenti prodotto morte. Osservo, e, in fondo, me ne rallegro. Quelle bandiere, alla fine, si sono ritrovate nelle uniche mani che le meritano, quelle degli imbecilli.

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