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Scorrendo il programma della giunta abruzzese

Del Turco e i blairiani dell’Unione

L’ex segretario socialista sfida i tabù della sinistra e mira a rafforzare l’economia sociale

di Alessandra Servidori - 11 maggio 2005

E’ proprio vero che riformisti si nasce. E se il ceppo è di quelli buoni e saldi, riformisti si continua a rimanere, in ogni schieramento. Una considerazione siffatta mi è venuta spontanea scorrendo il programma della Giunta regionale abruzzese, di cui è presidente Ottaviano Del Turco.

Si prenda il paragrafo che riguarda “Lavoro e occupazione”, la problematica sulla quale si è maggiormente scatenata la polemica contro la legge Biagi, colpevole di creare precarietà strutturale e flessibilità malata e anormale, tanto da indurre le Regioni amministrate dalla sinistra a varare, nella passata legislatura, leggi applicative in palese violazione della legge delega n. 30. In Abruzzo tira invece un’aria limpida, onesta, corretta. Il paragrafo comincia con un riconoscimento: “La flessibilizzazione salariale ha svolto un ruolo significativo – si legge – nel diminuire la disoccupazione e nel favorire l’ingresso di donne e di giovani nel modo del lavoro”.

Certo, esistono dei problemi che nessuno disconosce. Perciò è condivisibile anche la considerazione che segue, in cui si denuncia il rischio di sconfinare nella “trappola della povertà”, se la troppa flessibilizzazione genera insicurezza ed instabilità strutturali. Che fare allora? Se qualcuno dovesse aspettarsi le solite litanie sull’abrogazione della legge Biagi, resterebbe deluso.

Anche le terapie sono all’insegna di quel riformismo europeo, blairiano, che alberga in tutte le persone di buona volontà, meglio se socialiste. Il documento propone infatti di rafforzare l’economia sociale, stimolare l’espansione produttiva, favorire la creazione di un sistema di formazione permanente, attivare politiche attive del lavoro, sostenere progetti di qualificazione delle risorse umane, favorire la riduzione dei tempi d’ingresso nel mercato del lavoro, stimolare l’occupazione nelle aree interne, favorire il lavoro delle donne, migliorare la qualità del lavoro. Si tratta solo di obiettivi programmatici, ma siamo sulla strada buona.

Almeno si chiamano i problemi per nome e non ci si affida alle campagne propagandistiche, come se bastassero le leggi per riconoscere o per negare un’occupazione stabile e duratura.

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