Un progetto per arrivare subito al 70% del pil
Debito pubblico, si scherza col fuoco
S&P declasserà la nostra solvibilità, ma la campagna elettorale è una lite continuadi Enrico Cisnetto - 09 febbraio 2006
Torna l’allarme sul debito pubblico, si riapre la discussione sulla riforma delle pensioni. Mentre la campagna elettorale si occupa di tutto meno che dei problemi strutturali del Paese, ieri ci ha pensato Standard & Poor’s a riportarci con i piedi per terra. Dopo gli allarmi del Fondo Monetario e dell’Ocse, l’agenzia di rating ha minacciato entro fine anno un declassamento della solvibilità del nostro debito, che nel 2005 è già risalito al 108,6% del pil, e che rischia di tracimare oltre quota 110%. Una valutazione che ha trovato eco anche nelle parole preoccupate del presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, che ha giustamente ricordato come la tendenza sui mercati internazionali sia quella dell’aumento dei tassi d’interesse e che se questo accadesse il costo del debito italiano diventerebbe insostenibile, considerato che il deficit corrente è già sanzionato da Bruxelles per aver sforato i parametri Ue.
In questo clima, il tornare a parlare di pensioni sulla base dell’indicazione di Fausto Bertinotti – abolire lo “scalone” del 2008, cioè il brusco passaggio da un regime previdenziale ad un altro allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 2007 – rischia di aprire un contenzioso, prima di tutto interno al centro-sinistra, su un fronte decisivo ai fini della sistemazione dei conti pubblici sul quale il governo uscente si è attestato a fatica. Non c’è dubbio, infatti, che sia stato un errore procrastinare al 2008 l’aumento dell’età pensionabile – come pure della previdenza integrativa – creando così quella improvvisa discontinuità che è comprensibilmente oggetto di critica, ma sarebbe ancor più grave cogliere l’occasione per un ulteriore rinvio o, peggio, un’abolizione di quella riforma. Semmai, anche proprio per la gravità della condizione della finanza pubblica, sarebbe bene che entrambi gli schieramenti politici si prendessero fin d’ora l’impegno di approvare all’inizio della prossima legislatura un provvedimento di modifica che vada nella direzione sì di superare lo “scalone” graduando l’introduzione della norma, ma anticipandone l’avvio al 2006.
Ma quella sulle pensioni dovrebbe essere solo una delle grandi assunzioni di responsabilità che in campagna elettorale occorrerebbe prendere di fronte agli italiani per risanare e rilanciare il Paese. Un progetto per abbattere significativamente il debito, per esempio, sarebbe al primo posto. Uno studio di Giuseppe Guarino ci dice che tra il 1992 e il 2004, tenendo conto anche dei proventi delle privatizzazioni, è stata spesa l’astronomica cifra di 800 miliardi di euro in moneta rivalutata per cancellare, come da impegni presi a Maastricht, la parte eccedente il 60% di deficit-pil (630 miliardi a fine 2004), e che oggi ci troviamo lontani ben 48 punti percentuali da quell’obiettivo. Di fronte a questa desolante constatazione, non sono rieditabili le politiche fin qui adottate dalle due coalizioni. Non è più sufficiente quella del centro-sinistra del 1996 – ridurre il debito aumentando l’avanzo primario e privatizzando – e non è più percorribile, come dimostra anche la Finanziaria dell’ultimo Tremonti, la strada della finanza straordinaria, a cominciare dalle cartolarizzazioni degli immobili.
Di fronte al fallimento di entrambe queste politiche – e dunque del “bipolarismo all’italiana” come evidenzia la stessa Standard & Poor’s, al contrario dei cugini di Moody’s che si sono “schierati” con Prodi – non rimane quindi che il coraggio delle “grandi decisioni”. Lo stesso Guarino, per esempio, ha immaginato una manovra straordinaria che abbatta in un sol colpo il debito al 70% del pil, attraverso una spa, di cui il Tesoro avrebbe il 100% per poi gradualmente scendere, nella quale si farebbero confluire partecipazioni (Eni, Enel, ecc.) e beni immobili (abolendo il vincolo dell’inalienabilità) per un ammontare di 430 miliardi. Insomma, una public company per abbattere il debito e, risolti i problemi di finanza pubblica, rilanciare l’economia. Possiamo parlarne?
Pubblicato sul Messaggero del 9 febbraio 2006
In questo clima, il tornare a parlare di pensioni sulla base dell’indicazione di Fausto Bertinotti – abolire lo “scalone” del 2008, cioè il brusco passaggio da un regime previdenziale ad un altro allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 2007 – rischia di aprire un contenzioso, prima di tutto interno al centro-sinistra, su un fronte decisivo ai fini della sistemazione dei conti pubblici sul quale il governo uscente si è attestato a fatica. Non c’è dubbio, infatti, che sia stato un errore procrastinare al 2008 l’aumento dell’età pensionabile – come pure della previdenza integrativa – creando così quella improvvisa discontinuità che è comprensibilmente oggetto di critica, ma sarebbe ancor più grave cogliere l’occasione per un ulteriore rinvio o, peggio, un’abolizione di quella riforma. Semmai, anche proprio per la gravità della condizione della finanza pubblica, sarebbe bene che entrambi gli schieramenti politici si prendessero fin d’ora l’impegno di approvare all’inizio della prossima legislatura un provvedimento di modifica che vada nella direzione sì di superare lo “scalone” graduando l’introduzione della norma, ma anticipandone l’avvio al 2006.
Ma quella sulle pensioni dovrebbe essere solo una delle grandi assunzioni di responsabilità che in campagna elettorale occorrerebbe prendere di fronte agli italiani per risanare e rilanciare il Paese. Un progetto per abbattere significativamente il debito, per esempio, sarebbe al primo posto. Uno studio di Giuseppe Guarino ci dice che tra il 1992 e il 2004, tenendo conto anche dei proventi delle privatizzazioni, è stata spesa l’astronomica cifra di 800 miliardi di euro in moneta rivalutata per cancellare, come da impegni presi a Maastricht, la parte eccedente il 60% di deficit-pil (630 miliardi a fine 2004), e che oggi ci troviamo lontani ben 48 punti percentuali da quell’obiettivo. Di fronte a questa desolante constatazione, non sono rieditabili le politiche fin qui adottate dalle due coalizioni. Non è più sufficiente quella del centro-sinistra del 1996 – ridurre il debito aumentando l’avanzo primario e privatizzando – e non è più percorribile, come dimostra anche la Finanziaria dell’ultimo Tremonti, la strada della finanza straordinaria, a cominciare dalle cartolarizzazioni degli immobili.
Di fronte al fallimento di entrambe queste politiche – e dunque del “bipolarismo all’italiana” come evidenzia la stessa Standard & Poor’s, al contrario dei cugini di Moody’s che si sono “schierati” con Prodi – non rimane quindi che il coraggio delle “grandi decisioni”. Lo stesso Guarino, per esempio, ha immaginato una manovra straordinaria che abbatta in un sol colpo il debito al 70% del pil, attraverso una spa, di cui il Tesoro avrebbe il 100% per poi gradualmente scendere, nella quale si farebbero confluire partecipazioni (Eni, Enel, ecc.) e beni immobili (abolendo il vincolo dell’inalienabilità) per un ammontare di 430 miliardi. Insomma, una public company per abbattere il debito e, risolti i problemi di finanza pubblica, rilanciare l’economia. Possiamo parlarne?
Pubblicato sul Messaggero del 9 febbraio 2006
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.