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La corsa all’Eliseo e il caso italiano

Dalla Francia lezioni di terzismo

In mezzo al populismo di Sarko e Segolene c’è la scommessa Bayrou. E in Italia?

di Elio Di Caprio - 13 marzo 2007

Buttare a mare questo bipolarismo all"italiana che si è avvitato su se stesso, o il bipolarismo in sé? Mentre in Italia si fanno ancora i conti con una transizione che tale resta nonostante i tentativi di venirne a capo, in Francia sta emergendo la tentazione centrista attraverso la candidatura all"Eliseo di Francois Bayrou, terzo incomodo tra Sarkozy e Ségolène Royal. Sembrerebbe a prima vista che anche lì si voglia andare oltre le maglie strette di un bipolarismo obbligato e di routine che evidentemente non riesce a dare messaggi convincenti per far uscire la Francia dalla crisi e segnare un nuovo inizio. Non basta la pretesa “berlusconizzazione” della corsa presidenziale, la politica-spettacolo evidenziata dai mass media francesi in relazione alle tante promesse populiste sparse a piene mani dai due candidati principali, Sarkozy e Ségolène Royal. Le incursioni e le invasioni reciproche di campo tra destra e sinistra, su tutti i principali temi di interesse dei cittadini francesi (dall"immigrazione, ai posti di lavoro, alla sicurezza) disorientano più che rassicurare una popolazione scettica sul fatto che, qualunque leadership venga eletta, i suoi problemi verranno comunque affrontati e risolti.

Tanto vale allora dare spazio a un centro che si dichiari tale, come quello di Bayrou, e dia garanzie di moderazione e di stabilità contro ogni possibile estremismo. Forse sta qui l"inaspettato successo della nuova candidatura di Bayrou. La sua entrata in campo è senza dubbio la spia di una crisi dell"establishment tradizionale (il sistema della Quarta Repubblica regge da 40 anni) ma non è un indizio di frammentazione, visto che poi l"elettorato è obbligato alla sintesi dal sistema presidenziale francese. I segnali che vengono da un Paese come la Francia, spesso anticipano scelte ed orientamenti che poi vengono applicati e realizzati da altri Paesi in contesti e in misura del tutto diversi. Per questo l"apparizione lì di un potenziale terzo polo, e di centro, incuriosisce per gli sviluppi che può avere. Ognuno ha i suoi problemi. C"è declino da noi e in Francia, ci sono medesimi o analoghi ritardi nei processi di modernizzazione anche se difficilmente nei nostri dibattiti troveremmo gli stessi accorati accenti di allarme per il declino morale ed economico di una Nazione come la Francia che si è sempre autorappresentata come faro di civiltà per l"Europa se non per l"Occidente tutto intero, compresi gli USA..

Non sappiamo come andranno a finire le elezioni francesi ma sicuramente il sistema presidenzialista, che finora ha assicurato stabilità ed alternanza, consentirà di incanalare e regolarizzare su binari più certi che da noi le spinte centrifughe e le insofferenze estremiste che già sono venute alla luce negli ultimi anni. E" questo contesto che rende la situazione francese peculiare e poco raffrontabile con quella italiana, nonostante anche lì si parli di situazione bloccata, di riforme fin qui votate al fallimento, di disimpegno dei cittadini e di passioni estremiste. Lì ci sono, almeno così pare, gli strumenti per uscire dal declino magari in nome di un rinnovato patriottismo.

La crisi della rappresentanza politica non riguarda solo noi e la Francia, è un fenomeno europeo, già testimoniato da anni nella stessa Francia dall"alta percentuale degli astensionisti e dal voto protestatario per Le Pen. Ma in nessun altro Paese europeo, come l"Italia, la crisi della rappresentanza si riflette in maniera diretta sulla stessa governabilità, sulla precarietà, ormai di sistema, degli assetti di governo. In Italia il bipolarismo ha prodotto finora più frammentazione che sintesi. E" a questo punto una soluzione la (ri)virata al centro e a quale centro per noi e per la Francia? Grazie al bipolarismo o al tripolarismo il centro già trova in Francia spazio negli schieramenti di Sarkozy, Ségolène Royal, ed ora di Bayrou. Le estreme sono fuori e difficilmente rientreranno nel gioco. E ammesso che anche lì si voglia andare alla ricerca di un centro di equilibrio, uno Stato pervicacemente laico come quello francese non accetterebbe mai un centro raccolto attorno ad un partito cattolico o confessionale, come avveniva da noi con la vecchia DC. Una crisi di governo per il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto non sarebbe nemmeno immaginabile in Francia. E" un"enorme differenza, anche di carattere storico, con l"esperienza italiana. Il nostro empasse ha natura diversa da quello francese. Il bipolarismo avrebbe dovuto porre rimedio all"instabilità precedente di tanti governi della Prima Repubblica, ma poi è sfociato in una deriva personalistica resasi necessaria per portare a sintesi le posizioni niente affatto omogenee delle coalizioni concorrenti.

La Francia può fare a meno di Chirac e Jospin, la Gran Bretagna di Tony Blair, la Germania di Schroeder, noi non ancora di Prodi e Berlusconi. E chi ha il potere e l"interesse di cambiare? Non certo i postcomunisti o i postfascisti che non hanno alcuna intenzione di smobilitare un bipolarismo grazie al quale sono tornati ad ottenere posizioni di preminenza dopo decenni di emarginazione. Finanche il proporzionalista Fausto Betinotti cambierebbe idea e diventerebbe convinto sostenitore del sistema bipolare se solo potesse contare su una base elettorale più ampia. Il centro ex democristiano non si è mai dichiarato postdemocristiano, è ora una minoranza in diaspora che si può allargare solo con la sconfitta del bipolarsmo. E" questo il suo interesse “centrale”. La Francia per fortuna tali problemi non li ha mai avuti o li ha superati. Può dunque permettersi di scommettere più di noi su un centro davvero nuovo, senza regredire e senza mettere in gioco il sistema delle alternanze.

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