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Public Policy

La politica estera disastrosa di Prodi

Dalla Corea all'Iraq

Le distinzioni sul nucleare iraniano sono pericolose. Programma da fermare

di Davide Giacalone - 03 settembre 2007

Non ho risparmiato critiche al governo Prodi, che non mi piacque fin dal formarsi di quel suo lungo programma, che oggi non piace neanche a Veltroni. Molti dei rilievi mossi li ho accompagnati con la constatazione che si tratta di deficienze strutturali del sistema istituzionale italiano, talché, per rimediare, non basta tifare per un cambio di maggioranza. Ma c’è un tema circa il quale il governo Prodi detiene un record di negatività, avendo anche ribaltato le cose buone fatte dal governo precedente, ed è la politica estera. Nel mentre sembra che la Corea del Nord si piega alle pressioni delle democrazie, rinunciando al programma nucleare, nel mentre la diplomazia segna un successo, reso possibile anche dall’esistenza di una minaccia concreta, di un reale ricorso alla forza, il governo italiano non trova di meglio che sostenere, con riferimento all’Iran, che si deve distinguere fra nucleare ad usi civili e nucleare militare. Distinzione in sé priva d’intelligenza perché del tutto ovvia, ma presupponente la possibilità che ci si possa fidare di una teocrazia guerrafondaia, di un nemico della libertà, della sicurezza e della civiltà, e dar credito alle sue parole sugli scopi pacifici del nucleare iraniano. Una follia. Quel programma deve essere impedito e fermato, con ogni mezzo. E sarà proprio la disposizione all’uso di ogni mezzo ad aiutare il mondo libero nel far valere quelli pacifici. Spero. In ogni caso la posizione del governo italiano non è solo sbagliatissima, ma lontana dai nostri interessi, dalla nostra identità e dalla nostra sicurezza nazionale.

Ed il governo, oggi formato da quegli esponenti politici che hanno accompagnato la difficile crisi irachena continuando a ripetere “Onu, Onu”, come fosse un mantra, come non esistessero ben due risoluzioni che non solo consentivano, ma imponevano il ricorso alla forza militare, cosa dice, oggi, della decisione di far tornare in Iraq una presenza non solo simbolica delle Nazioni Unite? E’ un fatto positivo, che aiuterà anche a superare le pratiche sbagliate di una guerra che era giusta, ed il fatto che a quella decisione hanno concorso gli stessi Paesi che compongono la coalizione dei volenterosi dimostra l’inesistenza, o, almeno l’indebolirsi del contestato unilateralismo. E, infine, dimostra anche che Ban Ki Moon, nuovo segretario generale, interpreta il ruolo del palazzo di vetro in modo diverso, e più apprezzabile, rispetto al predecessore. Ma il governo italiano, così loquace nel dir spropositi sul medio oriente, così pronto ad essere l’unico governo democratico a porsi al fianco dei terroristi di Hamas, su tutto questo tace. Un silenzio pesante, nel mentre i tre grandi Paesi europei, Francia, Germania ed Inghilterra, guidati da governi di colore diverso, si ritrovano assieme nel ritenere un ferrovecchio (per me anche velenoso) l’europeismo antistatunitense del passato. Ecco, tutto questo serva a capire che l’essere l’unico Paese del mondo democratico con i comunisti nel governo non è solo un fatto folkloristico, ma un danno costante.

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