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La giustizia e il Cavaliere

Dal tifo all'intifada

Se qualcuno pensa di risolvere la questione sradicando Berlusconi con le condanne non si rende conto di consegnare il Paese alla guerra civile. E’ pazzo.

di Davide Giacalone - 13 marzo 2013

Bisogna fermare l’aggressione giudiziaria a Silvio Berlusconi. Non per salvare lui, ma per salvare la sinistra. Per salvare noi. Troppi non se ne rendono conto, ma siamo nuovamente alla tentazione tribale di fare un sacrificio umano per buttarci il presente alle spalle. In quel modo, invece, come c’è capitato altre volte nella storia, ci condanniamo a un futuro ipotecato dal passato.

Berlusconi ha politicamente chiuso nel 2009, quando volle difendere una schiacciante vittoria elettorale rimediando ai tradimenti arruolando traditori. Si sarebbe dovuti andare a elezioni, anche a costo di mettere il Quirinale nella condizione di negarle. Ha chiuso come statista quando ha ceduto alla tentazione di trasformare la propria casa in bordello. Non è reato, non me ne frega niente se i baci erano con la lingua e la lettura di Nabokov è più che sufficiente per stabilire chi sia il carnefice e chi la vittima. E’, però, una condotta incompatibile con la funzione. Tutte cose che dicemmo subito. Ma è da fanatici, da invasati credere che i milioni d’italiani che continuano a votare Berlusconi siano tutti persuasi della parentela fra la squinzia paffuta e il rais egiziano. Dal 1994 al 2008 la maggioranza relativa degli italiani ha continuato a votarlo perché non intendeva farsi governare dagli altri. Nel 2012 quella maggioranza ha ceduto voti ad un quarto di elettori che non intende farsi governare da nessuno. Questo è il problema.

E’ forse un innocente, un ingiustamente accusato? Non credo. Alcuni temi d’accusa penale sono del tipo che un imprenditore normale assimila senza drammi. Anche in caso di condanne. La sua esposizione politica, naturalmente, cambia le cose. Ma fa anche scattare l’evidente persecuzione. Ragionate sull’accusa penale relativa al caso De Gregorio: come si fa a non vedere che l’impianto è concepito in modo tale che per aggredire Berlusconi s’aggredisce il Parlamento? I tori accecati dalla muleta ed elettoralmente sanguinanti caricano a testa bassa per incornare l’odiato impostore, ma si troveranno con la spada giudiziaria nel cervello, perché si troveranno l’inquisizione a sindacare il voto parlamentare. Sto difendendo De Gregorio? Che il cielo mi fulmini, ove cada in tale tentazione. Fu candidato con Di Pietro, e nel mio vocabolario non trovo qualifica peggiore. Chi lo comprò e reo di ricettazione morale, di cui non si risponde in tribunale. Perché non solo è inaccettabile il sindacato giudiziario, è anche da cretini non ricordare che il governo Prodi cadde per assalto giudiziario. Per non dire dell’iscrizione nel registro dei reati per la promessa di restituzione dell’Imu. E su che si fanno, le campagne elettorali? Nel mondo.

Il clima italiano è pessimo. Quando sostengo queste cose ricevo messaggi che mi qualificano quale servo del padrone. Quando scrivo, e qui l’ho fatto, che chiamare la piazza contro la giustizia è da irresponsabili, ricevo accuse di resa. La lunga seminagione di odio dà i suoi frutti. Se qualcuno pensa di risolvere la questione sradicando Berlusconi con le condanne non si rende conto di consegnare il Paese alla guerra civile. E’ pazzo. Ed è un pazzo suicida, perché condanna la sinistra prima all’inciviltà giuridica e poi al patibolo giudiziario. Perché lì finiscono, passando da “abbiamo una banca” a “c’è fallita una banca”.

Singolare, poi, che si chieda a Berlusconi di trattare la resa e mettersi in salvo. Primo: e con chi tratta? Secondo: accusato di farsi gli affari propri lo si invita a farsi gli affari propri. Terzo: il problema non è lui, ma l’Italia. Più equo Grillo, che lo invita alla latitanza, dimostrando che la volgarità del linguaggio è la volgarità del pensiero. Due gruppi dirigenti hanno esaurito la loro funzione, sono spremuti come limoni ormai secchi: quello asserragliato attorno a Berlusconi e quello che proviene direttamente, senza soluzione di continuità, dal Partito comunista. Sono fallite le operazioni di rinnovamento e rottamazione dall’interno, ed è questa la loro più grande colpa. L’idea di conquistare un giorno di vita in più per la morte dell’avversario è un’allucinazione. Sicché hanno il dovere di portare l’Italia fuori dalla disastrosa seconda Repubblica. E devono farlo assieme. Qui e ora. Lo so, non ne saranno capaci. Non ne hanno lo spessore morale e culturale, sperando ciascuno di nascondere la propria pochezza dietro la pochezza altrui. Ma come fanno a non vedere che s’avviano assieme al mattatoio, sentendosi furbi se prendono il posto dopo il primo a soccombere?

Sono un ottimista, credo nella ragionevolezza. Almeno nell’istinto di sopravvivenza. Tocca a loro l’accordo per imboccare l’uscita, bloccando gli assalti giudiziari e creando le condizioni per riforme profondissime. Fra le prime quella che ridia senso alla parola “giustizia”. Lo spieghino alle rispettive tifoserie, se per insipienza e arroganza non intendono consegnare l’Italia all’intifada. Utile solo a veder scorrazzare i fasci grillini.

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