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L'allarme dei giovani di Confindustria

Dal tavolo delle emergenze a quello della programmazione

di Donato Speroni - 06 gennaio 2005

Un capitalismo da riformare, ma schiacciato da un'emergenza che gli impedisce di fare progetti. E' questo il paradosso che vive la classe imprenditoriale italiana, alimentato da una politica che vive solo di polemica quotidiana, vedi la querelle sul ritorno della concertazione, mentre la ripresa di dialogo con il sindacato è ancora tutta da mettere a frutto. Eppure, a fianco del "tavolo delle emergenze" in cui governo e parti sociali dovrebbero fronteggiare gli effetti più evidenti e immediati del declino, andrebbe istituito "un tavolo della programmazione" per gestire fenomeni di lungo periodo come la crescita demografica, il welfare, le politiche d'immigrazione. Tanto più se si vuole inquadrare gli interventi per il presente in una politica per il futuro. Utopia? No, anzi, qualche provocazione squarcia il velo di ipocrisia del dibattito. La Fondazione Nordest, per esempio, ha suggerito di impedire l'ereditarietà automatica delle aziende, con la motivazione che il valore "sociale" dell'impresa travalica quello proprietario, e quindi non può essere messo a repentaglio dalla mancanza di selezione che il passaggio generazionale presuppone. Ma il segnale più importante è quello venuto dal tradizionale appuntamento di S.Margherita dei giovani imprenditori di Confindustria, nel quale si sono confrontati sul rischio di un Paese "dai capelli bianchi" che difficilmente va oltre la solita polemica sulla riforma delle pensioni. Giusto che i ragazzi guidati da Anna Maria Artoni si pongano per primi questi problemi, visto che tra qualche anno si troveranno a gestire un Paese in tutto e per tutto simile ad un dinosauro. La potenzialità di crescita di un'economia è determinata dal tasso di incremento della popolazione - che determina le dinamiche del mercato interno - e dalla crescita della produttività, che produce creazione di valore e migliora la competitività in campo internazionale. Ed entrambi gli indicatori in Italia sono negativi. Quello dell'invecchiamento della popolazione e della scarsa natalità sono fenomeni che attengono all'evoluzione storico-sociale di lunghissimo periodo, ma i cui effetti negativi possono essere limitati ed influenzati da politiche adeguate. Cosa ancor più vera per la produttività, che è direttamente proporzionale al livello degli investimenti e allo stock tecnologico dell'apparato produttivo. In Italia, invece, ci troviamo nella condizione opposta, ovvero il sistema normativo e le politiche industriali (quando ci sono) finiscono per ingigantirne gli effetti distorsivi. Le politiche d'immigrazione si muovono in una logica difensiva che non coglie le vere potenzialità dei nuovi arrivati (specie quelli dell'Est Europa), come l'alta scolarizzazione e la giovane età. Acclarate le iniquità dell'attuale welfare: è conservativo, rivolge tutte le sue risorse alle pensioni e quasi niente all'assistenza, perpetua l'esistenza di un doppio mercato del lavoro in cui "vecchi" ipergarantiti scaricano la richiesta di flessibilità su "giovani" precari. L'obiettivo di trasformare il ferro vecchio dell'attuale stato sociale in uno strumento funzionale alla creazione di una nuova fase di sviluppo economico richiede una rivoluzione culturale ancor prima che normativa. Ci vuole tempo, ma per questo bisogna iniziare alla svelta.

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