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Attilio Befera lasciato solo

Da trionfale a funebre

Equitalia e l'Agenzia delle entrate si muovono nel solco delle leggi

di Davide Giacalone - 06 maggio 2012

Fa un certo effetto vedere Attilio Befera lasciato da solo, portato a difendersi con lettere ai giornali, intento a separare da sé l’immagine di mostro fiscale. Fa effetto sia in considerazione del fatto che, come noi abbiamo costantemente sottolineato, sia l’Agenzia delle entrate che Equitalia si muovono nel solco delle leggi esistenti, elaborate da questo governo solo in minima parte e per il resto ereditate dal passato, anche assai recente, ma fa effetto anche con riguardo al modo in cui funziona l’orchestra dei mezzi di comunicazione, capace di passare, con disinvoltura, dalla marcia trionfale a quella funebre. Noi avevamo avvertito che Befera stava esagerando, ora osserviamo l’effetto della collettiva fuga dalle responsabilità.

Sì, Befera aveva esagerato. Non nel fare il suo mestiere, nel quale, da molti anni, si distingue per capacità e professionalità. No: aveva esagerato nell’interpretare il ruolo di combattente contro l’evasione fiscale. Non è stato lui a mettersi a capo sia dell’Agenzia che di Equitalia (duplice posizionamento sul quale nessuno sembra avere alcunché da ridire e che, invece, a me pare anomalo assai), ma è stato lui a salire sul palcoscenico e intonare l’aria della riscossa contro i reprobi e i bastardi dell’evasione fiscale. Non si è risparmiato nel sottolineare che ora si suonava la riscossa, mentre in passato si era troppo tollerato (al punto da occultare alcuni dati, come quello che segnala la crescita della pressione fiscale, nel corso degli anni precedenti, anche a causa del riassorbimento di parte dell’evasione). La crisi economica era stata trasformata in una buona ragione per soffiare sul fuoco del rancore sociale, e lui si presentò con il mantice. Fummo pochini a vedere il grottesco delle cortinate, mentre i coristi stiravano l’ugola per festeggiare la caccia al suv, al ricco profittatore, alla buzzicona del social-cafonal, agli ultimi arrivati delle frequentazioni a mondanità decaduta. Fermateli, scovateli, multateli. Questo era il coro. Befera aveva voce tonante, guidava i cantori con sapienza, declinava il codice morale dei nuovi tempi.

Poi è successo quel che vedevamo nitidamente, e dettagliatamente scrivevamo: la pressione fiscale è troppo alta, il moralismo fiscale è un veleno, l’evasione fiscale va combattuta, chi, come il vostro presente scrivano, lascia il sessanta per cento del proprio reddito agli esattori non ha dubbi in merito, ma è folle non vedere e far finta di non sapere che intere fette della nostra economia, anche minuta e familiare, campano sull’ignobile compromesso: tassazione dissennata ed evasione tollerata. Non basta non tollerare più. Anzi, può essere pericoloso. Ma la scena apparve a Befera troppo bella per lasciarsela sfuggire. Non ricordo più quante interviste ha rilasciato, quante dichiarazioni salaci, quante sue fotografie, in posa marziale, hanno illustrato articoli e servizi televisivi ove se ne narravano le gesta ispettive. Il vento è cambiato, però. C’è chi si è tolto la vita, chi ha perso la testa (e merita la galera). Il pazzoide che ha sequestrato un intero ufficio dell’Agenzia rappresenta un caso di scuola: ha duemila euro di debiti, dicono i funzionari, ma lui ribatte che sono 44 mila. Forse è pazzo, di sicuro va fermato, ma se la cifra che deve è superiore a quei duemila euro di cui dicono alla fonte ufficiale devono dimettersi e andare via tutti, da quell’Agenzia. E mentre il vento cambiava il governo lasciava l’ottimo Befera da solo. Con il microfono ancora appoggiato alla bocca, con il faro che ancora lo illumina in primo piano, quel che era un osanna è divenuto un crucifigge. Sicché tocca a noi dire qualche cosa. La prima: l’esecutività delle cartelle Equitalia, il principio che nel mentre ricorri ti porto via i soldi, è abominevole, ma lo varò il governo Berlusconi, non Befera. La seconda: l’incapacità di distinguere fra chi non può pagare e chi non vuole pagare, in pratica fra chi non onora quel che dichiara e chi evade, non è di Befera, ma delle leggi. La terza: quando un governo dice che se si commettono degli errori nel pagare l’Imu ci sta anche che non si sia puniti dovrebbe vergognarsi, perché la legge fa pena, i calcoli complicati, il fai da te un insulto e l’errore è un errore, non un crimine. Provi piuttosto il governo, a pagare per gli errori che commette (ad esempio gli esodati). Eppure questo creerà un contenzioso, i cui esiti non saranno colpa di Befera, ma di chi ha caricato questo meccanismo infernale. Mi fermo qui, ma solo per ragioni di spazio. Il punto è: Befera è un funzionario, nessuno lo ha eletto, non è l’incarnazione di alcuna missione e se lo ha creduto si è sbagliato (alla grande), ma la responsabilità di quel che accade ricade su chi governa e, proprio per questo, avrebbe fatto bene a dire a Befera prima di stare un po’ zitto e ora di stare tranquillo, perché ha la solidarietà e la copertura di chi gli ha chiesto di fare quel lavoro. Le tasse si pagano, l’evasione va combattuta, i funzionari preposti facciano il loro mestiere. Evitare che questo favorisca il passaggio dalla malattia alla morte è compito di chi governa. In questo passaggio, dunque, giungano a Befera i sensi della nostra solidarietà.

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