ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Archivio » 
  • Da quando sono amico di Provenzano?

Telecom Italia fra spioni e conflitti d’interesse

Da quando sono amico di Provenzano?

Denunciando storture del capitalismo e dei suoi protagonisti si rischia la diffamazione

di Davide Giacalone - 02 aprile 2007

Attenzione, l’inchiesta sulla Telecom Italia e le sue deviazioni è ad una svolta, con conseguenze gravissime che riguardano la vita dell’intera società e gli interessi dei suoi molti azionisti. In quel mondo non si sono allevati solo degli spioni, pagandoli con i soldi di società quotate in Borsa, ma si era creata una struttura di depistatori, inquinatori e cialtroni. Posso ben dirlo, visto che nelle loro cartacce si accosta il mio nome a quello di Bernardo Provenzano, capo della mafia.

Premesso che può capitare d’essere parenti di mafiosi, pur restando persone per bene, può capitare di avere delle società che chiedono dei finanziamenti e può capitare d’occuparsi di una parco marino a sud di Roma, a me non capita nulla di tutto questo. Non ho alcun legame di parentela, vicina o lontana, con un criminale come Bernardo Provenzano, non ho alcuna società che abbia chiesto alcun finanziamento, non mi sono mai occupato di parchi marini, in quale che sia pizzo del mondo.

Sono cresciuto in Sicilia, terra cui mi unisce un legame indissolubile, e da siciliano so che i mafiosi, prima di essere dei criminali, sono dei disonorati. Il fatto che i signori al soldo di Telecom abbiano raccolto quel tipo di false notizie sul mio conto m’indigna profondamente, ma mi suggerisce che quel che andavo scrivendo sul ladrocinio subito dalla società non era smentibile in altro modo che con la diffamazione. Il fatto che, dovendo inventare pattume, associno la qualifica di mafioso a quella di siciliano (quanto meno parente di mafioso), mi da un senso di vomito che riverso volentieri loro addosso. Ho già denunciato gli spioni, adesso ci occuperemo degli spargitori di letame. Ma qui non cadiamo nella trappola, restiamo calmi e guardiamo alla sostanza. Guardiamo al perché ed ai mandanti.

Gli spioni sono solo canazzi ‘i bancata, poco nobili servitori che si nutrono degli schizzi di carne prodotti dalla macellazione. Perché furono sguinzagliati? La ragione è tutta nei libri che ho scritto, Razza Corsara e Il Grande Intrigo, pubblicato da Libero. Qui si descrivono le gesta di dirigenze responsabili di avere impoverito la società, di avere portato fuori troppi denari, di avere coltivato assai grigie relazioni nel mondo. Mi sono sbagliato, ho scritto sciocchezze, mi sono lasciato guidare da nemici depistatori? Fin qui nessuno ha potuto smentire una sola parola, un solo fatto raccontato. Ma, accidenti, se quei fatti sono veri il problema non è solo quello dei crimini eventualmente commessi dagli spioni, sui quali la magistratura di Milano sta indagando senza che, lo ricordo perché sono una persona civile, sia compromessa o messa in dubbio la presunzione d’innocenza, il problema riguarda l’intera società denominata Telecom Italia, riguarda i suoi bilanci e la sua attività. Su quei fatti c’è mai stato un intervento della Consob? È mai stato disposto un accertamento contabile? Ci si è mai chiesti come mai, in Brasile, a guidare Telecom fosse la stessa persona che aveva guidato Cirio e Parmalat? Sono anni che la ricchezza dei risparmiatori viene bruciata, ma sembra che nessuno si senta di dovere intervenire. E chi li ha sguinzagliati, i latranti spioni? Telecom continua a dirsi parte lesa. Non prendiamoci in giro: la società è certamente parte lesa, ma non chi la guidava, non chi la guida adesso. Chi la guidava allora era il mandante o un soggetto incapace d’intendere. Chi la guida oggi ha il dovere di avviare un’azione di responsabilità nei confronti di chi la dirigeva allora, perché, nel migliore dei casi, i soldi della società sono serviti per finanziare attività che nulla avevano a che vedere con i suoi interessi. Nel migliore dei casi.

Il guaio è che, fatta eccezione per il presidente Tronchetti Provera che se ne è andato e per il presidente Rossi che lo ha sostituito, i due gruppi dirigenti sono formati dalle stesse identiche persone. Hanno niente da dire, le autorità di controllo? Ha niente da aggiungere l’avvocato Rossi, sempre così attento nell’esame dei conflitti d’interesse?

Che il capitalismo italiano non funzioni, che le regole siano considerate al più ostacoli cartacei, lo dimostra il fatto che Telecom Italia si appresta ad un’assemblea nel corso della quale intende riconfermare tutta la baracca, come se niente fosse, come se non sia emersa una guerra totale, come se l’azionista di riferimento, l’Olimpia che ancora risponde agli ordini di Tronchetti Provera, non sia il principale problema di un gestore telefonico che si sta destinando al macello. E quando le regole morali del capitalismo non funzionano, quando lo spessore personale dei protagonisti è sottile, poi arriva il sindacato penale, tavolo autoptico delle imprese finite male. Non è vero, avvocato Rossi? Ricordo di averlo letto nei suoi libri, mi piacerebbe vederlo anche nelle sue azioni. Telecom Italia non è proprietà di questo o di quello, è una grande azienda nata e cresciuta con i soldi degli italiani, con i soldi che ci hanno messo i nostri emigranti, è un patrimonio collettivo che prima Romano Prodi ha svenduto in modo scandaloso e poi Massimo D’Alema ha consegnato nelle mani di una cordata lussemburghese da lui sponsorizzata.

Dicono che, oggi, lo scontro su Telecom sia proprio fra Prodi e D’Alema, che spettacolo inverecondo. Quei due sono i responsabili politici di quel che accade. Possono diffamarmi, offendermi, tentare di ricattarmi, possono accumulare spazzatura a piacimento, ma queste domande reclamano comunque una risposta e le cose scritte non potranno essere cancellate.

Si rimesti pure nel bottino, si scriva, come continuano a fare al Corriere della Sera, che sono stato accusato di gravi reati e poi prescritto, si finga di non sapere che sono stato assolto (perché il fatto non sussiste), che i reati contestatimi sul nascere di quelle inchieste fasulle neanche sono più stati sostenuti dagli accusatori, che sono stato risarcito per l’ingiusto procedimento subito, ma facendolo non riusciranno a far dimenticare che i dossier elaborati dagli spioni trovarono, a proposito degli intrallazzi brasiliani, ascolto e spazio proprio sul Corriere della Sera e su Il Sole 24 Ore, dove casualmente Tronchetti Provera sedeva nella proprietà. I lettori aspettano ancora le scuse da quanti si prestarono alla pubblicazione di quella roba. O la colpa è sempre tutta di Tavaroli, impegnato a servire il proprietario di Telecom, che era anche il proprietario del Corriere della Sera ed era anche il vicepresidente dell’editore de Il Sole 24 Ore, senza che il diretto interessato se ne accorgesse, e senza che i direttori pubblicassero per ossequio al padrone, ma per il valore intrinseco di tante belle inchieste? Sarà che sono orgogliosamente siculo, ma se dovessi difendermi sostenendo d’essere cretino mi sentirei leggermente a disagio.

Pubblicato su Libero di domenica 31 marzo

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.