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Public Policy

Fermiamoci, c’è un Paese che ha bisogno di una svolta

Da papi a padrino

Restituiamo forze alle istituzioni affinché si possa restituire senso alla politica

di Davide Giacalone - 18 dicembre 2009

I sistemi istituzionali crollano, se non militarmente abbattuti dall’esterno, quando le loro classi dirigenti non afferrano più il senso delle cose e della realtà, iniziando a parlare di sé e per sé, perdendosi nella concitata ammirazione della propria arte di galleggiare.

Scriviamo, da molto tempo, sul progressivo incattivirsi dei contrasti sociali, avvertendo che, nel vuoto delle idee e delle proposte, le tifoserie si sfidano sul niente. Tanto urlanti quanto intellettualmente afone. Il modellino del duomo milanese ha il pregio di potere essere fotografato. Gli effetti del lancio hanno il pregio di potere essere visti e diagnosticati, quindi curati. Ma sono mesi e mesi che si scaricano quintalate di palta. E sono mesi che lo ripetiamo: l’opposizione ne sarà seppellita. E’ un male.

Sulle pagine di questo giornale avete potuto leggere più riflessioni critiche, sia sull’operato del governo che sul sistema politico, di quante non se ne siano lette nei fogli di quanti s’oppongono sol perché legati alla sinistra che ha perso le elezioni. Qui abbiamo ragionato di cose, lì hanno preferito tentare di demolire le persone. Segnatamente: Lui. Già, perché le gazzette giustizialiste hanno ideato il culto negativo della persona, di Lui.

Sono corsi appresso ad una moglie vendicativa, sperando di trovare in lei la determinazione e la forza che al loro carattere mancava e manca. Hanno identificato in quella donna l’Italia tradita, laddove una parte del Paese vedeva quella arricchita. Si sono gettati ad indagare la partecipazione al compleanno di una diciottenne, lasciandoci increduli sono sul fatto che avesse raggiunto la maggiore età.

Hanno eretto ad oracolo una mondana, narrante la sua nobile attività. L’obiettivo era Lui, nella speranza di delinearlo erotomane e maialone. E quando rispose, lo sventurato, di non essere uno stinco di santo, noi criticammo la mancanza di costumi istituzionalmente accettabili, noi usammo parole severe, circa la credibilità di chi governa uno Stato, ma loro no, loro, i moralisti smutandati, gli sbirciatori di minorenni, i seguaci dell’autoerotismo antiberlusconiano, loro erano già andati oltre, chiedendosi se, per caso, non c’entrasse il malaffare, la droga e la camorra. Nacque il genere letterario più stupido, quello del decaquestionario.

Sicché, d’un fiato, ci ritrovammo anche ad occuparci di mafia, e non per dire che, magari, era capitato che un presunto disonorato avesse avuto modo di vendergli un casale, o una partita di pesce, no, siamo andati direttamente ad ipotizzare che il presidente del consiglio in carica sia stato il mandante di due o tre stragi.

In pochi mesi: da “papi” a “padrino”. Come se la scena avesse un senso, un filo logico, un canovaccio recitabile. Qualcosa in più, o di diverso, dall’odio personale. E quando i giornali del mondo riprendevano le notizie, quando sembravamo un popolo in mano a fornicatori bombaroli, quelli, accecati dall’ipotesi che Lui potesse crollare, attizzati dalla voglia di vedere Lui pendente, si davano di gomito e ririlanciavano le notizie. Vedete, blateravano arrochiti, questo dice il mondo di noi. Di loro no, il mondo non dice, perché loro sono solo l’appendice di un incubo. Poi è arrivato un imbecille, con il duomo in mano.

E loro, che potevano dire, poverelli? E’ colpa di chi è stato colpito. E’ sempre così, è sempre colpa di Lui. Non è la prima volta che capita: il piccolo borghese che si sente fallito ha bisogno di sapere che la colpa non è propria. La colpa è di Lui, dice a se stessa la piccola borghesia rossa, quella che firmava contro Calabresi, ma mai si sentì coinvolta dagli effetti di quella firma. Prima era colpa del “capitale”, poi della “società”, ora c’è Lui a giustificare e catalizzare lo schiumare reazionario. Ha in mano il capitale, Lui, e con le tv forgia la società. Sempre Lui, perché tutti gli altri non sono nessuno.

Intendiamoci, sul fronte dei latranti c’è gente che ci marcia. Ce ne sono che ogni mattina si svegliano e si chiedono come mai sono diventati famosi. Altri, è già c’è più da preoccuparsi, che si sentono in diritto d’essere famosi e se ne compiacciono. Oibò. Alcuni se la ridono, perché sono dei fascisti nati, che hanno un pubblico di rincitrulliti comunisti pronti ad applaudirli. Ma, in generale, a quella gente Lui ha fatto del male. Gli ha ciucciato via il cervello, li ha resi incapaci di ragionare, se non di Sé e per Sé.

Il cielo lo conservi a lungo in buona salute. Non tanto per la gioia dei suoi sostenitori, quanto per non gettare nel vuoto dello sconforto i suoi oppositori. Senza di Lui che altro sarebbero, se non ruderi di una storia sbagliata? Mentre il fronte suo, senza di Lui, correrebbe il rischio di dovere rispondere: chi siete, che cosa volete? Sono l’erede, ciascuno vorrebbe dire di sé, salvo non esser capace di spiegare il di che.

I sistemi istituzionali crollano, quando si ritrovano una classe dirigente siffatta. C’è chi se ne rende conto, da una parte e dall’altra, c’è chi, a sinistra, vede con chiarezza il budello nel quale si sono cacciati. C’è chi soffre, per il puteolente vicino di banco. Ecco, per cortesia, approfittino dell’idiota con il duomo, per prendere coraggio e dirlo apertamente: fermiamoci, c’è un Paese abbandonato a se stesso, governato in modo approssimativo da istituzioni divenute deboli, fermiamoci a restituire loro forza, talché si possa restituire senso alla politica. Fermiamoci in fretta, subito, perché altrimenti Lui sarà sempre lì, effige di sé, ma tutt’intorno non sarà rimasto nulla, salvo deficienti sempre più incattiviti.

Pubbicato da Libero

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