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Le decisioni di Consiglio di Stato e Cassazione

Crocefisso, tasse e valori repubblicani

Due sentenze apparentemente divergenti ma che confermano la laicità delle istituzioni

di Davide Giacalone - 16 febbraio 2006

Qualcuno aveva pensato di brandire il crocefisso come arma contro l’espansionismo islamico. Errore. Pensarono anche che inserendo nella costituzione europea le “radici cristiane” si sarebbero resa più salda l’Europa e più forti le radici. Errore (e, forse, oggi è ancor più chiaro quante grande fosse). La grandezza del nostro mondo, della civiltà che ha sviluppato, risiede nello Stato laico, in quella conquista di libertà e tolleranza che resta un ideale per tutti gli uomini, ovunque si trovino, quale che sia la loro fede.

Restava e resta un problema forse minore, ma simbolicamente rilevante: si lascia o si toglie il crocefisso dalle aule scolastiche e dalle aule pubbliche? La questione, di tanto in tanto, si ripropone, talora in modo inaccettabile (come nel caso di quel presunto islamico che si espresse in modo offensivo), talaltra in modo conflittuale (come quel giudice che si è rifiutato di esercitare la funzione in presenza di quell’oggetto), ed anche a presunta difesa dei minori (come nel caso di un genitore che chiede per i propri figli un’aula senza simboli). Quest’ultimo caso ha portato ad una sentenza del Consiglio di Stato (la Corte Costituzionale si era dichiarata incompetente, perché nessuna legge stabilisce che si debba affiggerlo, ma solo un paio di regolamenti), con la quale i giudici hanno saputo maneggiare una materia a dir poco complessa.

La tesi dei giudici è, in sintesi, questa: per i credenti il crocefisso è un simbolo religioso, ma il crocefisso ha un valore anche per i non credenti, dato che rappresenta valori che sono a fondamento della laicità dello Stato, oltre che della tolleranza. Tesi interessante, ed anche condivisibile (sarebbe qui troppo lungo sviscerarla, dato che per farlo occorrerebbe affrontare sia la testimonianza di Gesù, compreso il richiamo all’unico regno che gli interessava, quello ultraterreno, sia la successiva storia ecclesiastica). Mi preme di più tornare sul concetto di “laicità” dello Stato.

Uno Stato laico non è uno Stato ateo. L’ateismo, come la fede, in quale dio secondo quale confessione, sono scelte individuali. Riguardano la persona, non la collettività. Lo Stato laico, del resto, non è neanche uno Stato multireligioso, una specie di tempio new age. Lo Stato laico è la casa di tutti, ove nessuna discriminazione è consentita se riferita alla fede, tutti i riti possono essere officiati, se non contrastano con la legge, così come tutti possono essere rifiutati, mantenendosi lontani dai culti. Lo Stato laico è il contenitore della convivenza e della tolleranza, ma non per questo è indifferente, giacché la legge civile, la legge dello Stato, sovrasta ogni altra appartenenza e convinzione.

Il cammino dello Stato laico, come ogni altra cosa di questo mondo, non è sempre lineare e progressivo, ci sono battute d’arresto, passi indietro e passi avanti, spesso determinati dal contesto storico. Qualche volta le coincidenze aiutano a capire, ad individuare la direzione di marcia, e così, mentre il Consiglio di Stato lasciava il crocefisso al suo posto, facendone simbolo non solo religioso, nelle stesse ore la Corte di Cassazione stabiliva che se ai cattolici è riconosciuta un’esenzione fiscale per gli edifici dedicati al culto ed alla loro attività istituzionale, la stessa cosa deve essere riconosciuta agli ebrei. Giusto. Festeggerei più volentieri se queste giuste cose non si dovesse attenderle dalle aule di giustizia, e se la parità di trattamento consistesse nel pagarle, le tasse.

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