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La fine della Seconda Repubblica

Crisi italiana

Alitalia e pensioni: gli emblemi del fallimento del nostro sistema politico

di Enrico Cisnetto - 28 marzo 2008

Ove mai ce ne fosse stato bisogno, dopo la “fuga” dalle responsabilità intorno alla spazzatura, ora la pantomima di Alitalia, con aggiotaggio annesso, e la gara al rialzo sulle pensioni, confermano che chiunque le vinca le prossime elezioni non serviranno minimamente a porre rimedio alla “crisi italiana”.

La vicenda della decotta compagnia aerea è emblematica come nessun altra del fallimento del nostro sistema politico. Con Berlusconi nelle impacciate vesti di banchiere d’affari – ah, Cavaliere, cosa vuol dire non aver voluto frequentare Cuccia! – intento, dopo aver colpevolmente sprecato i cinque anni decisivi per la ristrutturazione di Alitalia (quelli della legislatura 2001-2006), a metter sù un’improbabile cordata patriottica, che nell’abortire prima ancora di essere nascere rischia di mettere in difficoltà anche AirOne, l’unico soggetto italiano che a buon titolo ha partecipato alla “gara” per il salvataggio di Alitalia.

E con Veltroni costretto a difendere la scelta suicida di Prodi che ha aperto le porte alla colonizzazione di Air France, anche perchè da Sindaco di Roma l’aveva condivisa nella logica campanilistica di Fiumicino contro Malpensa, ecco che Alitalia ha smesso di essere solo un problema di politica industriale per diventare il simbolo di quel mix di ignoranza, incapacità, superficialità e menefreghismo che ha contraddistinto la classe dirigente (si fa per dire) del Paese in questi 15 anni di Seconda Repubblica. Fare gran parte della campagna elettorale su questa faccenda, e per di più in questo modo becero, nonostante che tutti portino le stigmate della responsabilità del fallimento della compagnia (qui non si può sbagliare: funzioni istituzionali, ruoli politici e figura dell’azionista di maggioranza coincidono) la dice lunga su come all’indomani del voto si affronteranno – o non si affronteranno – i nodi strutturali del declino italico. Altro che spirito bipartisan per tagliare senza reticenze nodi gordiani come quello della crisi infinita di Alitalia, e più in generale del trasporto aereo, vittima del federalismo aeroportuale e della mancanza di compagnie serie (quasi tutti i privati sono falliti, spesso in malo modo).

Altro che politica condivisa per il turismo e per la logistica, due pietre miliari su cui costruire quel nuovo modello di sviluppo di cui o si parla per slogan o, più facilmente, neppure si evoca. Lo stesso dicasi per la questione pensioni. Sulla base del presupposto che vince le elezioni chi la spara più grossa, ecco che dopo il salario minimo, dall’uovo di Pasqua di Veltroni è arrivata la “sorpresa” di un incremento di 400 euro per le pensioni sotto i 25 mila euro l’anno, e di una cifra tra i 250 e i 100 euro per quelle tra i 25 e 55 mila. Costo totale: 2,5 miliardi. Cifra che sommata alla spesa stimata dal Sole24Ore per il resto del programma del Pd, porterebbe a circa 13 miliardi nel 2009 e a circa 29 miliardi nel 2012 il “costo” della campagna elettorale veltroniana. A stretto giro è ovviamente arrivata la risposta di Berlusconi. Accusando l’avversario di averlo copiato, il Cavaliere ha alzato la posta: innalzamento delle posizioni previdenziali minime e adeguamento al costo della vita di tutte le pensioni fino al livello di mille euro al mese.

Quanto costi questa riedizione della scala mobile (solo per pensionati) che seppellisce Bettino Craxi una seconda volta, non è dato sapere – Brunetta parla di 2 miliardi – ma sappiamo che si tratta di una forma di indicizzazione che rischia di innescare una pericolosa spirale prezzi-pensioni (che i pensionati pagherebbero attraverso la tassa occulta dell’inflazione), e la spesa sarebbe comunque aggiuntiva rispetto a quella già alta prevista dal programma berlusconiano (economisti vicini al centro-destra li hanno stimati in 8-10 miliardi l’anno nel quinquennio, contro i 72-87 di altri). In tutti i casi, quelle sulle pensioni sono promesse estemporanee – il tema non era neppure sfiorato nei programmi elettorali – che i due leader del “bipartitismo all’italiana” si potevano risparmiare, perchè alimentano l’idea che l’equità venga prima dello sviluppo (e a prescinderne) e che se anche non si hanno ipotesi di copertura di spesa credibili, agli italiani si può raccontare qualunque fregnaccia. Senza contare che così si rischia di rallentare, se non di deviare, il già lento cammino sulla strada dell’adeguamento al metodo contributivo e della separazione tra previdenza e assistenza. Sia chiaro, nel sistema pensionistico squilibri da sanare ce ne sono, ma occorre farlo ripensando l’intero impianto della spesa previdenziale, non con interventi “mordi e fuggi” dal chiaro intento propagandistico.

Insomma, per essere credibili come levatrici della Terza Repubblica e non soltanto come becchini della Seconda, Pd e Pdl avrebbero dovuto dire agli italiani: negli altri paesi europei l’età pensionabile è ormai come minimo a 65 anni, se anche noi la adottassimo subito potremmo spendere una parte consistente di quel si risparmierebbe per adeguare le pensioni in essere. Ma questo presupporrebbe un ben diverso approccio rispetto a quello da fiera di paese fin qui seguito. E d’altra parte, se Veltroni e Berlusconi non hanno sentito il bisogno di scendere in una strada di Napoli piena di spazzatura per prendere un solenne e solidale impegno nella soluzione di quel drammatico problema, perché avrebbe dovuto esitare nel fare demagogia su Alitalia e sulle pensioni?

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