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Lezione da trarre sul gas e scatto sul rigas

Crisi energetica: châpeau per l’Eni

Il necessario pensiero unico dei riformisti su una questione di emergenza nazionale

di Enrico Cisnetto - 27 gennaio 2006

Peccato che la campagna elettorale favorisca – paradossalmente – il “pensiero unico” su privatizzazioni e liberalizzazioni, perchè invece la crisi del gas potrebbe essere l’occasione giusta per ragionare sugli assetti proprietari delle società strategiche e sulle politiche di antitrust in chiave veramente liberale, cioè armati solo di un sano pragmatismo. Per questo dobbiamo essere grati a Paolo Scaroni, che ha avuto il coraggio di “andare controcorrente” dicendo che non è necessariamente un bene vendere l’Eni e Snam Rete Gas e moltiplicare i player del gas imponendo una dieta al “monopolista”. E non mi si dica che Scaroni è in conflitto d’interessi, perchè il suo essere di parte non ne infici il ragionamento (a parte il fatto che per l’Eni il gas rappresenta solo il 20% del suo fatturato). La tesi è molto semplice: se nel mondo a vendere il gas sono solo società di Stato, e in particolare due, la russa Gazprom e la libica Sonnatrach, con una posizione non solo duopolistica sul mercato dei produttori, ma anche con un uso neo-imperialista del loro potere di quasi esclusiva nei confronti dei paesi consumatori, non è pensabile che a negoziare ci siano piccoli compratori privati. O meglio, è possibile solo a costo di pagare il gas cifre iperboliche. E’ il caso, per esempio, della Gran Bretagna: la privatizzazione di British Gas e l’apertura di quel mercato a qualche decina di attori fa sì che gli inglesi oggi paghino il metro cubo 350-400 euro, cioè il doppio dei 190 che sborsa l’Eni. A tutto danno di quelle bollette che con la liberalizzazione si vorrebbero più basse. D’altra parte, è normale che sia così: se l’energia è uno strumento della politica di relazione tra i paesi, le società che vendono e comprano gas e petrolio o sono pubbliche o, come nel caso delle “sorelle” americane, sono grandi corporation che incidono fortemente sulle scelte della politica.
Dunque, da questa valutazione ne discendono due decisioni importanti per assicurare autonomia energetica al Paese, mettendo le basi per il varo di un piano energetico di medio-lungo periodo, e per consentirgli di fare una politica estera assennata (magari cominciando a rivedere i giudizi sulla Russia di Putin, e di conseguenza i rapporti con essa). Prima decisione: è bene mantenere sotto controllo pubblico la proprietà dell’Eni – per cui l’attuale assetto con il Tesoro al 20,32% e la Cassa depositi e prestiti al 10%, cui si aggiunge un 5% di autocontrollo, deve essere considerato il minimo invalicabile – e rivedere il piano di cessione di Snam Rete Gas, per la quale è inutile continuare a dilazionare i tempi, si prenda una decisione strategica (magari anche attraverso una fusione con Terna, come propongono alcune componenti del centro-sinistra). Seconda decisione: l’Antitrust non pretenda di spacchettare l’Eni, nella presunzione – tutta teorica – che tanti piccoli “gasisti” creano concorrenza e dunque tutelano gli interessi degli utenti, perchè il rischio che la nuova “armata rossa”, fatta di tubi anziché di militari, ci possa infliggere un colpo mortale è davvero troppo alto per poterlo correre.
Viceversa, c’è uno spazio di mercato per i privati che corrisponde ad un reale interesse del Paese, quello dei rigassificatori. Questi impianti servono a rendere nuovamente liquido il gas che è stato ibernato per poter essere trasportato via nave. Si tratta di gas proveniente da paesi, specie africani, che sono molti lontani o che comunque non dispongono di pipeline. Noi ne compriamo poco – peccato, visto che il prezzo è conveniente, anche aggiungendo i costi di trasporto – perchè in Italia non abbiamo che un impianto di rigassificazione (degli anni Cinquanta, dell’Eni). Ma se si facessero almeno altri tre o quattro rigassificatori, questo sarebbe un business eccezionale: ci renderemmo più autonomi e sicuri in termini di approvvigionamento nazionale; creeremmo un lavoro di indotto (anche di ricerca tecnologica) non indifferente; potremmo diventare, come saggiamente suggerisce Umberto Quadrino di Edison, l’hub del gas rigassificato per l’intera Europa.
Ora, è pensabile che i riformisti dei due schieramenti si mettano d’accordo per meno dichiarazioni di principio nei convegni in ossequio al “pensiero unico” e più fatti affinché i rigassificatori si facciano davvero?

Pubblicato sul Foglio del 27 gennaio 2006

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