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Bene Scajola, Sacconi, Brunetta. Ma Tremonti?

Crescita asfittica per l’Italia

Il quadro congiunturale è complicato. Quale “progetto antideclino” ha in serbo il governo?

di Enrico Cisnetto - 06 giugno 2008

Speriamo che l’Ocse abbia ragione. La sua stima, pur al ribasso, di un aumento del pil italiano dello 0,5%, infatti, appare superiore alle più negative previsioni di chi, da Confindustria a Confcommercio, parla di “crescita zero”. Ma se anche prevalesse l’ottimismo (si fa per dire) dell’Ocse, a fine anno ci ritroveremmo sulle spalle un ulteriore e accresciuto gap con Eurolandia, a cui la stessa Ocse accredita una crescita media dell’1,75%, e quell’1,25% di differenza rappresenterebbe il 56% in più di quegli 8 decimi di punto che nell’ultimo decennio sono stati il distacco mediamente accumulato ogni anno con i paesi della moneta unica. Senza contare che Eurostat ci ha appena informati che nel primo trimestre la crescita su base annua è stata per l’Italia dello 0,2% – fanalino di coda in tutta Europa – contro il 2,2% dell’area euro (trainata dalla Germania, +2,6%), il che ci dice che per ora viaggiamo con una velocità addirittura di due punti in meno.

Cosa che induce a pensare che per quanto l’Italia possa nei prossimi mesi beneficiare dello straordinario trend tedesco, comunque quell’abbondante punto percentuale di ulteriore distacco dai nostri maggiori competitor e partner continentali non potrà essere ridotto. E se questo è il quadro congiunturale in cui ci muoviamo, non bisogna dimenticare che lo scenario strutturale ci dice che sono 15 anni che soffriamo di una crescita asfittica e ce ne indica tutte le cause – ma per riassumerle basta prendere le recenti relazioni del presidente di Confindustria e del Governatore della Banca d’Italia e mixarle – a cominciare da quella decisiva del marginale aumento della produttività. Ora, a fronte di un contesto così difficile e complicato, quali sono le iniziative che il Governo appena insediato intende prendere per fronteggiare quella che non esiterei a definire l’emergenza da cui in buona misura dipendono tutte le altre emergenze?

A parte il clima politico dialogante – di cui ho già detto in questa sede i vantaggi ma anche i pericoli sottintesi – e un’ostentazione di decisionismo che appaga gli italiani che ne sono digiuni da troppo tempo ma rischia di mettere in secondo piano il “come”, il contenuto delle decisioni stesse, per ora è difficile dare un giudizio compiuto. Semplificando si potrebbe dire: bene Scajola (soprattutto per aver rimesso al centro del dibattito il nucleare, anche se qui conta moltissimo il “come”), Sacconi (partito col piede giusto per avere il massimo di pace sociale con il minimo di cedimento al sindacato) e Brunetta (se realizza un quarto di quello che è scritto nel suo piano per la pubblica amministrazione, avrà fatto la rivoluzione). Più complesso esprimersi su Tremonti. Se si dovesse giudicare il ministro dell’Economia che assicura la continuità della politica di bilancio del governo e del ministro precedente, che in Europa si assume la responsabilità di rispettare il 2011 come d-day per azzerare il deficit con una manovra triennale da 35 miliardi, che smantella l’inutile Dpef e lo trasforma in una Finanziaria anticipata e di medio periodo, allora a questo Tremonti dovremmo assegnare un ottimo voto in pagella. Ma, per sfortuna, c’è anche il Tremonti versione Robin Hood, che vorrebbe togliere a chi in questi anni ha (o si presume che abbia) guadagnato molto per dare ai poveretti con il problema della quarta e forse della terza settimana.

A parte l’osservazione che la campagna elettorale è finita e che il centro-destra ha vinto le elezioni perché gli italiani erano stufi dell’ipoteca sul governo Prodi di quella sinistra massimalista, in parte presente anche nel Pd, che anteponeva la redistribuzione del reddito alla sua creazione – finendo per impantanare l’esecutivo nelle sabbie mobili dell’equità, un terreno melmoso dove è facile scivolare nella demagogia e nel populismo – viene da pensare che un inizio così nasconda qualcosa. Ora, finché nel mirino c’erano le banche – a proposito, ci sono ancora o ne sono già uscite? – si poteva pensare (e io ho andreottianamente fatto peccato) che le si volesse un po’ spaventare per ottenere in cambio un loro impegno forte nel salvataggio dell’Alitalia, visto che è difficile immaginare che nel 2008 il sistema creditizia produrrà extra profitti da punire. Ma adesso che il siluro è lanciato verso i petrolieri, francamente non capisco. Prima di tutto perché non c’è nessun profitto extra da tassare, visto che l’aumento del petrolio sono loro i primi a pagarlo (né a nessuno è venuto in mente, per fortuna, di sovratassare i produttori di pasta perché il prezzo del frumento è salito del 77% nell’ultimo anno!). E poi perché se c’è qualcuno che ha guadagnato con il barile a 120 dollari è proprio l’erario, che ha visto raddoppiare in poco tempo la voce “accise” e non ha mai pensato di defiscalizzare gli incrementi derivanti dalla pura variazione del prezzo all’origine (naturalmente considerato il cambio in dollari favorevole a chi acquista spendendo euro).

Dunque, una tassa “ad petroleum” sarebbe quantomeno impropria, e farebbe correre il rischio al novello Robin Hood di muoversi, più che nella foresta di Sherwood, nelle pampas venezuelane di Hugo Chavez.In attesa di vedere quale Tremonti prevarrà, forse sarà opportuno che anche il presidente del Consiglio si sporchi le mani con la crisi economica, dicendoci qualcosa di più della sua solita, e ormai logora, ostentazione di ottimismo e di “ghe pensi mi”. Il Paese più serio, quello che non vive dentro quella specie di bolla psicologica fatta di messianiche aspettative che le elezioni hanno generato, si attende di sapere di quale “progetto anti-declino” l’Italia è dotata.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.