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Le banche italiane non stringono la borsa

Credit crunch? No, ma...

L'imprenditoria italiana deve continuare a temere il declino

di Enrico Cisnetto - 04 febbraio 2008

Più che il credit crunch, il sistema imprenditoriale italiano deve continuare a temere il suo nemico numero uno: il declino. Nonostante gli allarmi circolati nei mesi scorsi, infatti, non sembra che nel nostro Paese sia alle porte un calo significativo dell’offerta di credito, né un inasprimento delle sue condizioni. O meglio: è certamente vero che il combinato disposto dell’entrata in vigore delle norme di Basilea 2 – l’accordo internazionale per la gestione del rischio di credito che prevede anche un severo giudizio di merito sulle aziende che vogliono accedere ai finanziamenti – e della tensione nei mercati finanziari scoppiata con la crisi dei mutui subprime, ha ingenerato un atteggiamento più prudente da parte delle banche nel concedere finanziamenti alle imprese. Ma la tendenza, in verità già visibile dall’autunno scorso, non ha assunto finora – né è probabile, ceteris paribus, che lo faccia in seguito – le dimensioni di una stretta vera e propria: secondo la Banca d’Italia, la restrizione dei criteri adottati per l’erogazione dei prestiti è stata addirittura meno intensa in Italia rispetto al resto dell’area euro. Anzi, i tassi di crescita del credito bancario alle società non finanziarie restano ancora molto alti: nel 2007 sono aumentati del 14,4% – a fronte di un +13,7% registrato nella media di Eurolandia – e le previsioni per quest’anno sono di un rispettabilissimo incremento del 9,5%, minore sì, ma in linea con il generale rallentamento della congiuntura internazionale.

Ma basta grattare un pochino la superficie per notare che in ogni caso non è tutt’oro quel che luccica. O meglio, che l’oro non luccica per tutti. Una parte del buon andamento del credito bancario è spiegabile con il venir meno di altre forme di finanziamento come le obbligazioni, sia a livello europeo che italiano. E soprattutto, i dati di previsione ci dicono che la richiesta di denaro in prestito verrà soprattutto dalle imprese grandi (in Europa) e medie (in Italia), le quali continueranno a correre grazie ai mercati di sbocco extraeuropei, mentre si stima che le piccole (ovvero la stragrande maggioranza, soprattutto da noi) ridurranno la domanda dal 6% al 4,5%. Così, probabilmente, riusciranno a “rimanere a galla” un altro po’, ma soltanto rinunciando ad investire per innovare e crescere.

Insomma, da qualunque parte la si guardi, in Italia la situazione rimane sempre la stessa: l’imprenditoria, storicamente carente di capitale privato e di rischio, è iper-dipendente dal sistema bancario. Fioccano rapporti e studi sull’evoluzione che il sistema produttivo avrebbe grazie ad una riorganizzazione che ha già toccato molti settori (manifatturiero, moda, agricoltura). Vero, ma come andiamo ripetendo (inascoltati), questo è appannaggio di una estrema minoranza, significativa sotto il profilo qualitativo, ma pur sempre il prodotto residuale di una depauperazione andata avanti per scremature, senza effettivo ricambio. Per questo, il processo di transizione, per andare a compimento, necessiterebbe ancora di ingenti finanziamenti; ma oggi la rarefazione del credito per le “piccole” può generare al massimo un effetto selettivo, non certo aiutare la riconversione di un apparato produttivo nella maggior parte dei casi ancora bolso ed obsoleto. Con il rischio di lasciare incompiuta una transizione già infinita. (www.enricocisnetto.it)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.