Il consiglio comunale ha deliberato a favore
Craxi, la targa, la memoria
Dannato quel popolo che per accettarsi debba continuamente autoingannarsidi Davide Giacalone - 30 giugno 2005
La giunta di Milano ha deciso di affiggere una lapide in piazza Duomo, all’ingresso dello studio che fu di Bettino Craxi. Decisione che non poteva non suscitare polemiche, difatti giunte con puntualità e scontatezza. Ma sbaglia, e di grosso, chi pensa che il problema sia Craxi, la sua battaglia politica, la sua vicenda giudiziaria. No, il problema siamo noi, gli italiani di oggi.
Craxi era un leader politico, ed è quindi del tutto naturale che taluni si riconoscano nella sua storia ed altri l’avversino. Le idee dividono, e Craxi non era tipo da tacerle od annacquarle per amore d’unità. Il punto, però, è che Craxi è divenuto, suo malgrado, il simbolo della falsificazione della storia. Chi oggi si ribella a quella targa non ha molto da dire o da ridire, circa la politica di Craxi, ma ha il terrore che se ne sgretoli la negatività simbolica, inevitabile seconda faccia della simbolica positività del biennio giustizialista, quel pessimo periodo che va dal 1992 al 1994.
Ma sbaglio anch’io, puntando tutto su quel biennio. La faccenda è più vasta: gli italiani, a cicli ricorrenti, falsificano la propria storia e la riraccontano con toni mitologici e furfanteschi. Lo si è fatto con il fascismo, con la guerra di liberazione, con i condizionamenti della guerra fredda, con la nascita del terrorismo, con il finanziamento della politica, con la fine di quella ch’è stata chiamata prima Repubblica. La realtà è sotto i nostri occhi, solo gli scemi ed i corrotti possono non vederla, eppure volgiamo la testa dall’altra parte, fingiamo di credere alle favole piuttosto che fare i conti con noi stessi. Poi, a babbo morto, quando i cadaveri sono polvere da tempo, qualcuno scrive l’ovvio, ed allora s’alza il coro dei cretini accademici, che intonano le note del “revisionismo”, cui risponde il coro dei cretini allo stato puro, sulla melodia del “chi l’avrebbe mai detto”.
Da quei coretti vorrei starmene lontano, dimostrare che c’è anche un’Italia onesta, proba, capace di guardare in faccia la realtà. Capace, quindi, di non dimenticare le ragioni del conflitto politico, nel caso specifico quel che univa e quel che divideva da Bettino Craxi, per far vivere la politica vera, che è azione culturale ed impegno civile.
Leggo che la giunta di Milano ha deliberato a favore della targa, ma che (non voglio crederci) ha delegato all’ufficio toponomastica la stesura del testo. Se così fosse sarebbe ridicolo. In quella targa si può ricordare il Craxi epigono del socialismo milanese, si può ricordare il capo di governo, e si può anche ricordare la sua vicenda giudiziaria. Però, a ben vedere, quella targa ha un valore testimoniale che supera i passaggi specifici della vita di un uomo, può contenere un messaggio che riguardi veramente i passanti, tutti. Per questo dovrebbe esserci scritto che è dannato quel popolo che per riuscire ad accettarsi debba continuamente autoingannarsi.
Craxi era un leader politico, ed è quindi del tutto naturale che taluni si riconoscano nella sua storia ed altri l’avversino. Le idee dividono, e Craxi non era tipo da tacerle od annacquarle per amore d’unità. Il punto, però, è che Craxi è divenuto, suo malgrado, il simbolo della falsificazione della storia. Chi oggi si ribella a quella targa non ha molto da dire o da ridire, circa la politica di Craxi, ma ha il terrore che se ne sgretoli la negatività simbolica, inevitabile seconda faccia della simbolica positività del biennio giustizialista, quel pessimo periodo che va dal 1992 al 1994.
Ma sbaglio anch’io, puntando tutto su quel biennio. La faccenda è più vasta: gli italiani, a cicli ricorrenti, falsificano la propria storia e la riraccontano con toni mitologici e furfanteschi. Lo si è fatto con il fascismo, con la guerra di liberazione, con i condizionamenti della guerra fredda, con la nascita del terrorismo, con il finanziamento della politica, con la fine di quella ch’è stata chiamata prima Repubblica. La realtà è sotto i nostri occhi, solo gli scemi ed i corrotti possono non vederla, eppure volgiamo la testa dall’altra parte, fingiamo di credere alle favole piuttosto che fare i conti con noi stessi. Poi, a babbo morto, quando i cadaveri sono polvere da tempo, qualcuno scrive l’ovvio, ed allora s’alza il coro dei cretini accademici, che intonano le note del “revisionismo”, cui risponde il coro dei cretini allo stato puro, sulla melodia del “chi l’avrebbe mai detto”.
Da quei coretti vorrei starmene lontano, dimostrare che c’è anche un’Italia onesta, proba, capace di guardare in faccia la realtà. Capace, quindi, di non dimenticare le ragioni del conflitto politico, nel caso specifico quel che univa e quel che divideva da Bettino Craxi, per far vivere la politica vera, che è azione culturale ed impegno civile.
Leggo che la giunta di Milano ha deliberato a favore della targa, ma che (non voglio crederci) ha delegato all’ufficio toponomastica la stesura del testo. Se così fosse sarebbe ridicolo. In quella targa si può ricordare il Craxi epigono del socialismo milanese, si può ricordare il capo di governo, e si può anche ricordare la sua vicenda giudiziaria. Però, a ben vedere, quella targa ha un valore testimoniale che supera i passaggi specifici della vita di un uomo, può contenere un messaggio che riguardi veramente i passanti, tutti. Per questo dovrebbe esserci scritto che è dannato quel popolo che per riuscire ad accettarsi debba continuamente autoingannarsi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.