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La Bce, i tassi e le previsioni per l’export

Cosa rischia il made in Italy

Chi guadagna e chi ci perde dal rialzo di Francoforte. E se l’euro si apprezzasse...

di Enrico Cisnetto - 16 aprile 2007

Laddove non si è (ancora) spinta la Bce, c’è già arrivato il mercato. Un ulteriore rialzo dei tassi – che i banchieri di Francoforte hanno deciso di rinviare, con tutta probabilità a giugno – è stato messo in conto dagli operatori europei, tanto che in Italia i rendimenti dei Btp a cinque anni e di quelli a 30 sono già arrivati rispettivamente al 4,17% (il massimo dal luglio 2002) e al 4,72%. Dunque, la Bce sarà “costretta” dal mercato – per evitare che il tasso ufficiale si discosti da quello corrente, ma anche per non tenere troppo aperta la forbice con i tassi americani, che spinge verso le più alte remunerazioni Usa i capitali internazionali – ad alzare l’asticella del costo del denaro come minimo al 4%, ma quasi certamente dopo l’estate anche un quarto o mezzo punto oltre.

Si tratta di una tendenza che ha in sé elementi di forte contraddizione. Da un lato è positiva, perché significa gli istituti centrali, al pari del G7 proprio ieri, giudicano abbastanza robusta la ripresa europea e da “atterraggio morbido” il rallentamento Usa, dove il governatore Bernanke, dopo 17 aumenti consecutivi, ha tenuto stabile dal giugno 2006 i Fed Funds al 5,25%. Dall’altro, non è esente da rischi, perchè non solo chiude definitivamente l’aurea stagione dei tassi bassi e calanti – quella che, per esempio, ha permesso alla Federal Reserve allora guidata da Alan Greenspan di guidare gli Stati Uniti fuori dalle secche in cui erano finiti a causa dello scoppio della bolla tecnologica a Wall Street, e in Europa ha consentito alle imprese di indebitarsi a costi sostenibili e reggere così l’impatto di un periodo di scarso sviluppo – ma potrebbe indurre una forte contrazione dei consumi.

I tassi bassi, infatti, hanno permesso l’accesso al credito anche a chi prima ne era escluso perché non in grado di offrire garanzie abbastanza solide. E’ il caso, negli Usa, dei fruitori dei mutui subprime, recentemente andati in crisi; è il caso, in Italia, di una quota importante di quei 200 miliardi di euro a cui, secondo la Banca d’Italia, ammontano ormai i mutui ipotecari, cresciuti negli ultimi quattro anni di oltre un quarto del valore. Ora, la parte di questi mutui che è a tasso variabile – quasi tutti quelli stipulati in Italia dopo il 2000 – non potrà non risentire pesantemente degli aumenti del costo del denaro, portando oggettive difficoltà a chi ha investito nel mattone. Di conseguenza, saranno molti gli italiani costretti a frenare ulteriormente i consumi, che già negli ultimi tempi non sono mai cresciuti oltre l’inflazione e che per il 2007 la Confcommercio segnala “fermi”. E questo andamento della domanda interna – di cui già si vedono tutte le conseguenze negative sulla produzione industriale, che nel primo trimestre regredisce dell’1% – non potrà che rallentare la “ripresina” in corso, già sottoposta allo stress da euro, ai massimi su dollaro (1,35) e yen (160,87).

Ora, se come prevedono molti analisti, la moneta europea sfondasse la soglia di 1,40 l’export made in Italy subirebbe una brusca contrazione ed entrerebbe in affanno l’economia tedesca, cui dobbiamo grande parte della congiuntura. Inoltre, il rialzo della valuta riduce il prezzo dei beni importati, rendendo più conveniente acquistare sui mercati esteri rispetto a quelli interni, così da esporci al rischio che tutto il differenziale di crescita accumulato in questi mesi vada a beneficio di altri.

Pubblicato su La Sicilia di domenica 15 aprile

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