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Nominati vice ministri e sottosegretari

Correnti, partitini e amazzoni: quando le larghe intese diventano larghissime

Un conto è la convergenza politica della “grande coalizione”, un altro le intese “larghissime” per accontentare tutti, anche gli ultimi della fila.

di Marco Dipaola - 04 maggio 2013

Adesso il governo Letta può dirsi completo. La nomina di vice ministri e sottosegretari ha chiuso l’appassionante fase delle poltrone e ha aperto quella, ben più importante, del lavoro e del fare, o forse ne rappresenta il primo freno. Pur partendo dal presupposto che la quantità di nomine effettuate (40) è quella prevista dalla legge, non si può far finta di non vedere una raffinata spartizione di poltrone in pieno stile “manuale Cencelli”. Certo un governo composto da parti politiche tradizionalmente avverse si regge proprio sulla soddisfazione di tutti le componenti, e questa è di sicuro facilitata dall’attribuzione di ruoli di rilievo. Però, forse, si è esagerato: correnti, fazioni, partiti, partitini, amazzoni, signori-nessuno. Tutti presenti sotto il segno delle larghe intese. Che, sia chiaro, sono la soluzione, sia per la divisione quadripolare del parlamento dopo le elezioni, sia perché i problemi che l’Italia deve affrontare sono così tanti e gravi che unire le forze è indispensabile. Ma un conto è la convergenza politica della “grande coalizione”, un altro le intese “larghissime” per accontentare tutti, anche gli ultimi della fila. Perché così si arriva al paradosso che il ministero degli Esteri ha bisogno di ben tre vice ministri e che il MIR, prestigioso (si fa per dire) movimento capeggiato dal politico più amato dai centri anziani, tal Giampiero Samorì, riesca a far diventare sottosegretario un giovane sindaco di una cittadina trentina di 415 anime, dicasi 415. Nell’era dell’elogio degli amministratori locali, il rischio è che anche quelli di condominio richiederanno, tra poco, la loro fetta di poltrona. Poi ci sono i casi prettamente politici, come quello del ministero dell’Economia, dove il superministro Saccomanni verrà tallonato da due vice che hanno visioni economiche opposte tra loro: Stefano Fassina – esponente di spicco dell’ala più a sinistra del Pd e vicinissimo alla Cgil – e Luigi Casero, ex repubblicano di chiara matrice berlusconiana. Per non parlare dei paradossi, come quello di Miccichè, ricompensato anche stavolta per qualche migliaio di voti in Sicilia e di Michaela Biancofiore, protagonista di un vero e proprio valzer di deleghe – da pari opportunità e sport a pubblica amministrazione e semplificazione – causato da alcune dichiarazioni sui gay del neo sottosegretario. Che Enrico Letta dovesse accontentare tutti era risaputo e, forse, inevitabile, ma certi nomi stridono totalmente con il tentativo, ben riuscito, di allestire una compagine governativa all’insegna dell’alternanza fra esperienza e gioventù, competenza tecnica e abilità politica. Il peso dei nuovi componenti dell’esecutivo è tutto da valutare. Molto probabilmente il loro contributo sarà più utile a giornali e salotti televisivi piuttosto che al Paese. Sforziamoci però di concludere con una nota positiva: la Lega è all’opposizione, almeno Borghezio sottosegretario all’integrazione ce lo siamo risparmiati.

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