Compiti sbagliati
Una pericolosissima fesseria fatta approvare dal Parlamentodi Davide Giacalone - 25 aprile 2012
In un’Italia in cui, da tempo, non esistono più i partiti non si fa che discutere sui costi dei partiti. In un Paese in cui la classe dirigente ha esaurito le idee non si fa che ribattezzarsi e cambiare nome. Roba d’ispirazione shakespeariana, ove Giulietta sosteneva: se anche la rosa non si chiamasse rosa sarebbe comunque soavemente odorosa. Già, ma se anche cambi nome a quel che fete, non per questo profuma. In tutti i sistemi democratici ci sono quelli che campano parlando male dei partiti e, del resto, il sogno perpetuo degli antidemocratici è chiuderli tutti, ma i costi spaventosi che stiamo pagando sono quelli della non-politica, quelli delle scelte mancate, sbagliate o ritardate. Che la Lega subisca la raspa del pensare e dello strillar leghisteggiante e fonte di possibile trastullo, ma superfluo riguardo i nostri veri problemi.
Nel silenzio generale il nostro Parlamento sta introducendo nella Costituzione la superba fesseria del pareggio di bilancio obbligatorio. Anche questo fa parte dei compiti a casa, sempre più sbagliati. Quel pareggio (posto che l’obbligo di copertura delle spese è in Costituzione fin dal 1948) avrebbe un senso se si cedesse sovranità ad un governo federale europeo incaricato, se necessario, di spendere in deficit. Sarebbe come dire che s’impone il pareggio alle regioni, lasciando al governo centrale il compito d’investine nel superamento degli squilibri, delle arretratezze e delle crisi. Ma non è così, perché noi facciamo gli scolaretti di una Germania che sta guadagnando alla grande grazie all’amministrare una classe differenziale, nella quale autorevoli incapaci s’incaponiscono a impoverirsi pur di lasciarle vantaggi sia commerciali che di finanziamento dei suoi debiti (che, complessivamente considerati, sono pari ai nostri). Per coprire questo madornale errore s’aizza l’opinione pubblica contro la politica, i cui protagonisti, del resto, non meritano d’essere difesi. Avremmo bisogno, come italiani e come europei, dell’esatto contrario: governi autorevoli che impongano all’Unione di cambiare strada. L’elettorato francese s’è dato da fare, e se anche Sarkozy dovesse rimontare (cosa niente affatto esclusa, specie se la Merkel la pianta di appoggiarlo) non potrà non tenere conto del ceffone preso. In Francia non ha preso a spirare il refolo di una nuova sinistra, capace di pensare al futuro come il tempo della ripresa, ha soffiato forte il ventaccio del rifiuto, che travolgerà l’Unione tutta, ove non sia capace di reagire, evitando di divenire la vera vittima di una crisi nata e covata negli Stati Uniti. Quegli elettori si sono scagliati contro tutto: dalla libera circolazione delle persone all’immigrazione, dalle banche alla finanza. Ma lo hanno fatto nell’illusine che si possa far rivivere il passato, appartenente ad un mondo che non c’è più e che non tornerà. Lo hanno fatto coerenti con il loro passato, perché la signora Le Pen ha preso tanti voti, ma papà arrivò al ballottaggio. Lo ripetiamo da mesi: si butti via la torta Sarkel e si chiuda quella pasticceria avvelenatrice. Altro che compiti a casa per essere ammessi a dare una leccata. L’Europa parametrale e bundesbanchizzata porta alla morte dell’Europa, anche per colpa di governi (compreso l’ultimo Berlusconi) che abdicano alla sovranità cedendo al commissariamento. Serve politica che pensi in modo diverso, non tecnocrati che ne gestiscano la tumulazione.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Società Aperta è un movimento d’opinione, nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini, provenienti da esperienze professionali e politiche differenti, animati dalla comune preoccupazione per il progressivo declino dell’Italia, già dal lontano 2003, quando il declino dell’economia, almeno a noi, già era evidente come realtà acquisita. L’intento iniziale era evitare che il declino diventasse strutturale, trasformandosi in decadenza. Oltre a diverse soluzioni economiche, Società Aperta, fin dalla sua costituzione, è stata convinta che l’unico modo per fermare il declino sarebbe stato cominciare a ragionare, senza pregiudizi e logiche di appartenenza, sulle cause profonde della crisi economica italiana e sulle possibili vie d’uscita. Non soluzioni di destra o di sinistra, ma semplici soluzioni. Invece, il nostro Paese è rimasto politicamente paralizzato su un bipolarismo armato e pregiudizievole, che ha contribuito alla paralisi totale del sistema. Fin dal 2003 aspiravamo il superamento della fallimentare Seconda Repubblica, per approdare alla Terza, le cui regole vanno scritte aggiornando i contenuti della Carta Costituzionale e riformulando un patto sociale che reimmagini, modernizzandola, la costituzione materiale del Paese. Questo quotidiano online nasce come spin-off di Società Aperta, con lo scopo di raccogliere riflessioni, analisi e commenti propedeutici al salto di qualità necessario